Gesù Luce del mondo

San Daniele Comboni Vescovo

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view post Posted on 10/10/2011, 08:42

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20031005_comboni

10 ottobre

Limone del Garda (Brescia), 15 marzo 1831 - Khartum (Sudan), 10 ottobre 1881



Dopo anni di oblio, nel 1800 le terre africane sono percorse da esploratori, mercanti e agenti commerciali delle potenze europee. Accanto a questi operatori vi erano spesso esploratori dello spirito, missionari che volevano portare l'annuncio di Cristo alle popolazioni indigene. Tra costoro occupa un posto di rilievo san Daniele Comboni (1831-1881), che fin da giovane scelse di diventare missionario in Africa. Ordinato sacerdote nel 1854, tre anni dopo sbarca in Africa. Il primo viaggio missionario finisce presto con un fallimento: l'inesperienza, il clima avverso, l'ostilità dei mercanti di schiavi costringono Daniele a tornare a Roma. Alcuni suoi compagni si lasciano vincere dallo scoramento, egli progetta un piano globale di evangelizzazione dell'Africa. Mette poi in atto una incisiva opera di sensibilizzazione a Roma e in Europa e fonda diversi istituti maschili e femminili, oggi chiamati comboniani. Di nuovo in Africa nel 1868, Daniele può finalmente dare avvio al suo piano. Con i sacerdoti e le suore che l'hanno seguito, si dedica all'educazione della gente di colore e lotta instancabilmente contro la tratta degli schiavi. Le comunità da lui fondate seguono il modello delle riduzioni dei Gesuiti in America Latina. Spirito aperto e intraprendente, Comboni comprende presto l'importanza della stampa. Scrive numerose opere di animazione missionaria e fonda la rivista Nigrizia che è attiva ancora oggi. Negli anni 1877-78 vive insieme con i suoi missionari e missionarie la tragedia di una siccità e carestia senza precedenti. Era l'anticipazione della morte sopraggiunta nel 1881. Nel 2003, nel giorno della canonizzazione, Giovanni Paolo II lo definì un «insigne evangelizzatore e protettore del Continente Nero». Principalmente alla sua opera si deve se il cristianesimo in Africa ha oggi un futuro di speranza.

Etimologia: Daniele = Dio è il mio giudice, dall'ebraico

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Nella città di Khartum in Sudan, san Daniele Comboni, vescovo, che fondò l’Istituto per le Missioni Africane e, nominato vescovo in Africa, si prodigò senza mai lesinare energie nel predicare il Vangelo in quelle regioni e nel prendersi in tutti i modi cura della dignità degli esseri umani.

Autunno 1857: partono per il Sudan cinque missionari mandati da don Nicola Mazza di Verona, educatore ed evangelizzatore. Fine 1859: tre di essi sono già morti, due rifugiati al Cairo, e a Verona torna sfinito il quinto. È Daniele Comboni, unico superstite degli otto figli dei giardinieri Luigi e Domenica, sacerdote dal 1854. Riflette a lungo su quel disastro e su tanti altri, giungendo a conclusioni che saranno poi la base di un “Piano”, redatto nel 1864 a Roma. In esso Comboni chiede che tutta la Chiesa si impegni per la formazione religiosa e la promozione umana di tutta l’Africa. Il “Piano”, con le sue audaci innovazioni, è lodatissimo, ma non decolla. Poi, per avversioni varie e per la morte di don Mazza (1865), Comboni si ritrova solo, impotente.
Ma non cambia. Votato alla “Nigrizia”, ne diventa la voce che denuncia all’Europa le sue piaghe, a partire dallo schiavismo, proibito ufficialmente, ma in pratica trionfante. Quest’uomo che sarà poi vescovo e vicario apostolico dell’Africa centrale, vive un duro abbandono, finché il sostegno del suo vescovo, Luigi di Canossa, gli consente di tornare in Africa nel 1867, con una trentina di persone, fra cui tre padri Camilliani e tre suore francesi, aiuti preziosi per i malati. Nasce al Cairo il campo-base per il balzo verso Sud. Nascono le scuole. E proprio lì, nel 1869, molti personaggi venuti all’inaugurazione del Canale di Suez scoprono la prima novità di Comboni: non solo ragazzi neri che studiano, ma maestre nere che insegnano. Inaudito. Ma lui l’aveva detto: "L’Africa si deve salvare con l’Africa".
Poi si va a Sud: Khartum, El-Obeid, Santa Croce... Lui si divide tra Africa ed Europa, ha problemi interni duri. Ma "nulla si fa senza la croce", ripete. Una croce per tutte: il suo confessore lo calunnia, e Comboni continua a fare la sua confessione a lui. Un leone che sa essere dolce. Uno che per gli africani è già santo, che strapazza i pascià, combatte gli schiavisti e serve i mendicanti. Da lui l’africano impara a tener alta la testa. Nell’autunno 1881 riprendono le epidemie: vaiolo, tifo fulminante, con strage di preti e suore in Khartum desolata. Comboni assiste i morenti, celebra i funerali, e infine muore nella casa circondata da una folla piangente. Ha 50 anni.
Poco dopo scoppia la rivolta anti-egiziana del Mahdi, che spazza via le missioni e distrugge la tomba di Comboni (solo alcuni resti verranno in seguito portati a Verona). Dall’Italia, dopo la sua morte, si chiede ai suoi di venir via, di cedere la missione. Risposta dall’Africa: "Siamo comboniani". E non abbandonano l’Africa. Ci sono anche ai giorni nostri, in Africa e altrove. Ne muoiono ancora oggi. Intanto il Sudan ha la sua Chiesa, i suoi vescovi. E ora il suo patrono: Giovanni Paolo II ha proclamato beato Daniele Comboni nel 1996.
E' stato canonizzato a Roma da Giovanni Paolo II il 5 ottobre 2003.

Autore: Domenico Agasso

 
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view post Posted on 9/10/2012, 17:11

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MORIRE PER GESU' CRISTO E PER L'AFRICA

Già da molti anni la Chiesa ha voluto dedicare il mese di ottobre alle missioni cioè al ricordo dei tanti missionari e missionarie, religiosi e laici, che “hanno lasciato padre, madre, fratelli, sorelle, campi...” e sono partiti per annunciare il Vangelo, testimoniandolo con le parole e con la vita, talvolta fino al martirio. È un invito alla riflessione sulla “missionarietà” di tutta la Chiesa, da fare particolarmente durante questo “ottobre missionario”.
Ricordiamo, in questo mese, San Daniele Comboni, un grande missionario che ha speso tutta la vita, tra innumerevoli difficoltà, per la promozione spirituale e sociale dell’Africa, o come si diceva allora per la Nigrizia.
Tempo fa sulla T-shirt di un giovane ho letto il seguente messaggio: “Il futuro dell’Africa è nero”. Frase dal significato ambivalente, come molti messaggi della pubblicità. Il futuro per l’Africa può diventare nero, cioè estremamente difficile, per le molteplici difficoltà che ha a tenere il passo tecnologico degli altri continenti. Ma può anche voler dire che un futuro migliore per l’Africa arriverà non dall’esterno ma dall’interno, cioè dagli stessi neri, dagli africani quindi, dal loro lavoro e dalla loro creatività.
Questa seconda accezione del messaggio pubblicitario sulla T-shirt è stata anche l’idea fissa che guidò il lungo e molteplice lavoro missionario di San Daniele Comboni: aiutare gli africani in un primo momento e fare in modo che in seguito fossero loro stessi in prima persona gli artefici e i promotori della salvezza spirituale e promozione sociale del continente nero. In sintesi aiutarli adesso per essere capaci di aiutare se stessi dopo. Intuizione nuova per il tempo del Comboni, patrimonio teorico ormai acquisito anzi ovvio della missionologia e della prassi missionaria oggi.

Ed il Card. Francis Arinze, figlio della Chiesa africana, arrivato ad un incarico molto importante in Vaticano, ha scritto del Comboni: “Precursore, evangelizzatore, profeta, pioniere, gigante missionario, promotore, liberatore, sacerdote e vescovo dal cuore magnanimo che sa perdonare, e specialmente amico dell’Africa, per la quale non esita a sacrificare tutto”. Un riconoscimento prestigioso, certamente meritato.

Fino all’ultimo respiro per l’Africa

Daniele Comboni è nato a Limone sul Garda, il 15 marzo 1831, da genitori profondamente cristiani. Dopo aver frequentato il seminario di Verona, entrò nell’Istituto di Don Nicola Mazza, che accoglieva anche giovani bravi e di buona volontà ma di famiglie povere. In quegli anni nella Chiesa era tornato a soffiare forte il vento missionario, e un po’ dovunque nascevano organizzazioni missionarie. Anche nell’Istituto si respirava questo clima e l’interesse era rivolto specialmente all’Africa, tanto che il Don Mazza era chiamato, scherzosamente, Don Congo. Daniele respirò quel clima a pieni polmoni.

Una data importante nella sua vita fu il 1849. Dopo il fallimento della spedizione di due missionari partiti dall’Istituto, Daniele, a soli 18 anni, giurò davanti al superiore, con voto privato, di consacrare tutta la propria esistenza all’apostolato dell’Africa Centrale. Tanto che, quasi vent’anni dopo, nel 1867 poteva scrivere: “Votato all’Africa da diciassette anni, io non vivo che per l’Africa e non respiro che per il suo bene”. E continuerà così fino alla fine della vita.

Fu ordinato sacerdote nel 1854 a Trento ma prima di partire per l’Africa (1857) passeranno ben tre anni di preparazione, non solo per la lingua araba, ma anche come infermiere. Era infatti scoppiata un’epidemia di colera, e il Comboni stesso, mandato nel paese di Buttapietra (Verona), si prodigò con una tale generosa assistenza, come prete e infermiere, da meritarsi un encomio pubblico dalle autorità. Intanto aveva imparato ed esercitato l’arte medica che gli sarà utile in seguito.

Fu nel 1857 che partì anche lui con una spedizione dell’Istituto di Don Mazza (cinque preti ed un volontario laico, un fabbro). Daniele era il più giovane. Egli visse questa prima esperienza con gli occhi ardenti ed entusiasti non solo del missionario ma anche dell’esploratore che sapeva ammirare e descrivere la bellezza della natura incontaminata che lui vedeva, e sapeva lodare di tutto il Creatore. Ma non bastò l’entusiasmo suo e degli altri. La spedizione fallì, con la morte di due sacerdoti e del laico, mentre Daniele fu costretto a tornare in Italia prostrato nel fisico (le febbri) ma intatto nello spirito e nella sua personale consacrazione missionaria per il bene dell’Africa.
L’anno decisivo per la sua attività missionaria fu il 1864.

Piano per la rigenerazione dell’Africa

15 settembre 1864: presso la tomba di San Pietro, Daniele vi pregò a lungo, mentre si beatificava Suor Margherita Maria Alacoque, l’apostola della devozione al Sacro Cuore. Non si sa con precisione cosa gli capitò. Fu un’intuizione solo umana? Una folgorazione bell’e buona? Fu ispirazione dall’alto dello Spirito Santo? Forse un po’ tutto questo. Daniele Comboni scrisse nelle ore successive, quasi di getto, le 24 pagine della bozza che dovevano costituire l’ossatura e le linee guida del suo fare apostolato missionario nel futuro.

Ecco il titolo: “Sunto del nuovo Disegno della Società dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria per la Conversione della Nigrizia proposta alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide da Daniele Comboni dell’Istituto Mazza”. Scriverà in seguito: “Fidandomi in quel Cuore sacratissimo, che palpitò pure per la Nigrizia, e che solo può convertire le anime, sono vieppiù disposto a patire e sudare fino all’ultimo respiro e a morire per Gesù Cristo e per la salute dei popoli infelici dell’Africa Centrale”.
Il Sunto (chiamato poi Piano) conteneva il suo programma globale che intelligentemente coniugava evangelizzazione e promozione umana (binomio che ancora oggi si usa parlando di missioni), unito all’idea di salvare gli Africani per mezzo degli Africani.

Questo Piano missionario comboniano aveva dell’originale e per certi versi anche del rivoluzionario. Suggeriva a tutti una revisione della metodologia evangelizzatrice fino ad allora seguita. Ma non solo. Richiedeva anche una revisione della teologia collegata (la missionologia).
In un tempo in cui tutto era in mano ai missionari europei, il Comboni suggeriva invece di affidare il compito agli indigeni e di fidarsi quindi di loro. Cosa non tanto pacifica per il fatto che molti allora li ritenevano costituzionalmente incapaci e inaffidabili.
Altro elemento caratteristico della sua azione missionaria fu la valorizzazione dell’elemento femminile. Una novità quasi assoluta. Anche valorizzando la donna il Comboni cercava e trovò non solo un valido aiuto per l’evangelizzazione della popolazione ma anche un valido sostegno per la trasformazione dell’intera struttura sociale ed economica dei villaggi dove operava.
Nel 1864 andò a Parigi per illustrare il proprio Piano missionario. Di ritorno fu ospite di Don Bosco a Torino-Valdocco, per alcuni giorni. Anche la città sabauda era un centro di propulsione e propaganda missionaria. E a questo movimento non era estraneo il Santo dei giovani. I due certamente parlarono del Piano e della nuova metodologia di fare missione. Don Bosco fece tesoro di quelle conversazioni e ne tenne conto quando i suoi figli iniziarono la loro prima missione in Patagonia, Argentina. Non ci fu nessuna collaborazione immediata tra i due, per impossibilità da parte di Don Bosco. Fu solo cento anni dopo, quando i Salesiani lanciarono il Progetto Africa (1980) che i missionari di Don Bosco in terra africana ebbero molti consigli e grande simpatia da parte dei Figli del Comboni. Questi tornò a Valdocco anche nel 1880, ospite sempre di Don Bosco, in occasione della grande Festa di Maria Ausiliatrice. Il Vescovo celebrò una solennissima Messa in Basilica contagiando ed entusiasmando tutti del suo zelo missionario.

Salvare l’Africa con gli Africani

Il suo piano era bello, convincente, anche innovativo. Pio IX infatti lo incoraggiò ad andare avanti. L’Istituto Mazza invece fu di tutt’altro parere: sconfessò addirittura l’intero progetto. Il Comboni non si scoraggiò e procedette da solo. Infatti nel 1867 fondò l’Istituto maschile per le Missioni della Nigrizia (Missionari Comboniani), e nel 1872 le Pie Madri della Nigrizia, e cioè il ramo femminile. Aveva la sua famiglia, Figli e Figlie, i missionari del futuro che avrebbero continuato (e continuano ancora oggi) la sua opera per il bene dell’Africa.
Il Comboni alternava il suo lavoro missionario vero e proprio nell’Africa Centrale (Khartum, Nubia, Monti Nubi) a prolungate maratone in Europa alla ricerca di fondi per le sue opere. E dovunque trovava buona accoglienza e sovvenzioni.

Finalmente nel 1872 Pio IX lo nominò Provicario apostolico dell’Africa Centrale, gli dava cioè autorità su tutti i missionari che operavano in quella zona “la più grande missione dell’universo” come lui diceva. Poi nel 1877 fu nominato vescovo (di Khartum). La sua opera di penetrazione nel cuore dell’Africa, nella zona equatoriale dei Grandi Laghi, continuava pur tra mille difficoltà. Si adoperò con energia a combattere il commercio degli schiavi, ufficialmente abolito ma praticato in maniera florida con l’avallo e l’azione di vari nazioni europee. Lentamente il suo sogno si stava avverando: stavano nascendo maestre indigene, e si stavano formando famiglie autoctone in grado di trasmettere la fede e di consolidare così dall’interno le comunità cristiane appena formate. Insomma la “formula Comboni” cominciava a funzionare.

I suoi ultimi anni furono travagliati non solo da problemi di salute (violenti febbri) ma anche da calunnie pesanti, che si rivelarono poi infondate. Egli sopportò tutto, con molta pazienza e con il perdono sulle labbra.
A pochi mesi dalla sua fine ebbe notizia della ribellione, scoppiata nel Sudan, ad opera di un sedicente profeta Mohamed Ahmed Mahdi, che affermava di essere stato mandato da Dio a liberare il Sudan dai Turchi e dall’influenza cristiana. Naturalmente con la violenza delle armi non con la predicazione. Notizia purtroppo tragicamente vera: era iniziata la sanguinosa “guerra santa” islamica del Mahdi che avrebbe spazzato via dall’Africa Centrale ogni traccia di presenza cristiana. Episodio non ultimo nella storia di islamizzazione di una nazione (in parte cristiana) attuata con la violenza. La sua opera fu distrutta, i cristiani minacciati, cacciati via o uccisi. Alcuni missionari europei rimasero prigionieri addirittura per diciassette anni. Crudeltà innumerevoli e atrocità efferate, sempre nel nome di Allah!

La sua intensa vita terrena finì il 10 ottobre del 1881, con un ultimo pensiero alla sua Africa, per la quale aveva speso tutto.
La Chiesa riconobbe la sua opera di grande missionario e di santo, canonizzandolo il 5 ottobre 2003.


10 Pensieri del Comboni

1 Sono ventisette anni e sessantadue giorni che ho giurato di morire per l’Africa centrale: ho attraversato le più grandi difficoltà, ho sopportato fatiche enormi, ho più volte visto la morte vicino a me e, malgrado tante privazioni e difficoltà, il Cuore di Gesù ha conservato nel mio spirito (...) la perseveranza in modo che il nostro grido di guerra sarà fino alla fine. “O Nigrizia o morte”.
2 Io sono martire per amore delle anime le più abbandonate del mondo e voi diventate martiri per amore di Dio, sacrificando al bene delle anime l’unico figlio (così scrisse una volta ai genitori).
3 Non vi spaventate. La vita nostra è nelle mani di Dio. Ei faccia quel che vuole: noi l’abbiamo con irrevocabile dono sacrificata a Lui. Sia benedetto. Dalla sera alla mattina qui si muore... (dopo aver ricevuto l’Unzione degli Infermi, dopo una gravissima malattia).
4 Mi sento tanto forte che ormai non cedo più. Se il Papa, la Propaganda Fide e tutti i vescovi del mondo mi fossero contrari, abbasserei la testa per un anno, e poi presenterei un nuovo Piano: ma desistere dal pensare all’Africa, mai, mai...
5 Ho i nervi troppo duri, ho sette anime come le donne. Dirò sempre col cuore: sia benedetto il Signore!
6 Qui il nero come essere ragionevole non ha valore alcuno... e io volli mostrare vieppiù ai popoli, provandolo con un esempio parlante, che secondo lo spirito sublime del Vangelo tutti gli uomini, bianchi e neri, sono uguali dinanzi a Dio e hanno diritto all’acquisizione della fede e alla civiltà cristiana.
7 Io ritorno tra voi per non cessare mai più di essere vostro... Il vostro bene sarà il mio, e le vostre pene saranno pure le mie. Io prendo a far causa comune con ciascuno di voi, il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi (da una sua omelia).
8 Bisogna patire grandi cose per amore di Cristo, combattere con i potenti, con i Turchi, con gli atei, con i frammassoni, coi barbari, con gli elementi, coi preti, coi frati, col mondo e con l’inferno.
9 Il missionario deve essere disposto a tutto, alla gioia e alla memestizia, alla vita e alla morte, all’abbraccio e all’abbandono.
10 Ho sofferto di tutto... Le assicuro che Giobbe il giusto ha navigato nelle gioie e nelle delizie in confronto a me. Egli ha avuto più pazienza di me, ma io ho sofferto più di lui. Ma per quanto spezzato dalle fatiche, dalle amarezze e da tante pene, mi sento un coraggio da leone... L’opera di Dio deve procedere nel cammino regale della Croce e bisogna ringraziare Dio (lettera ad una Benefattrice, 1879)

 
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