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S. GIUSEPPINA BAKHITA ("Madre Moretta"), Vergine

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view post Posted on 8/2/2011, 14:17

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Martedì 08 Febbraio 2011
Santa Giuseppina Bakhita
Vergine dell'Istituto delle Figlie della carità Canossiane



Giuseppina M. Bakhita nacque nel Sudan nel 1869 e morì a Schio (Vicenza) nel 1947.

Fiore africano, che conobbe le angosce del rapimento e della schiavitù, si aprì mirabilmente alla grazia in Italia, accanto alle Figlie di S. Maddalena di Canossa.

A Schio (Vicenza), dove visse per molti anni, tutti la chiamano ancora «la nostra Madre Moretta».

Il processo per la causa di Canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte e il 1 dicembre 1978 la Chiesa emanò il decreto sull'eroicità delle sue virtù.

La divina Provvidenza che «ha cura dei fiori del campo e degli uccelli dell'aria», ha guidato questa schiava sudanese, attraverso innumerevoli e indicibili sofferenze, alla libertà umana e a quella della fede, fino alla consacrazione di tutta la propria vita a Dio per l'avvento del regno.

Bakhita non è il nome ricevuto dai genitori alla sua nascita. La terribile esperienza le aveva fatto dimenticare anche il suo nome.

Bakhita, che significa «fortunata», è il nome datole dai suoi rapitori.

Venduta e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid e di Khartoum conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù.

Nella capitale del Sudan, Bakhita venne comperata da un Console italiano, il signor Callisto Legnani. Per la prima volta dal giorno del suo rapimento si accorse, con piacevole sorpresa, che nessuno, nel darle comandi, usava più lo staffile; anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali. Nella casa del Console, Bakhita conobbe la serenità, l'affetto e momenti di gioia, anche se sempre velati dalla nostalgia di una famiglia propria, perduta forse, per sempre.

Situazioni politiche costrinsero il Console a partire per l'Italia. Bakhita chiese ed ottenne di partire con lui e con un suo amico, un certo signor Augusto Michieli.

Giunti a Genova, il Signor Legnani, su insistente richiesta della moglie del Michieli, accettò che Bakhita rimanesse con loro. Ella seguì la nuova «famiglia» nell'abitazione di Zianigo (frazione di Mirano Veneto) e, quando nacque la figlia Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l'amica.

L'acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito. Nel frattempo, dietro avviso del loro amministratore, Illuminato Checchini, Mimmina e Bakhita vennero affidate alle Suore Canossiane dell'Istituto dei Catecumeni di Venezia. Ed è qui che Bakhita chiese ed ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina «sentiva in cuore senza sapere chi fosse».

«Vedendo il sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio».

Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita ricevette i Sacramenti dell'Iniziazione cristiana e quindi il nome nuovo di Giuseppina. Era il 9 gennaio 1890. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi ed espressivi sfavillavano, rivelando un'intensa commozione. In seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire: «Qui sono diventata figlia di Dio!».

Ogni giorno nuovo la rendeva sempre più consapevole di come quel Dio, che ora conosceva ed amava, l'aveva condotta a sé per vie misteriose, tenendola per mano.

Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con decisione e coraggio insoliti, manifestò la sua volontà di rimanere con le Madri Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato tante prove del suo amore.

La giovane africana, ormai maggiorenne, godeva della libertà di azione che la legge italiana le assicurava.

Bakhita rimase nel catecumenato ove si chiarì in lei la chiamata a farsi religiosa, a donare tutta se stessa al Signore nell'Istituto di S. Maddalena di Canossa.

L'8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacrava per sempre al suo Dio che lei chiamava, con espressione dolce, «el me Paron».

Per oltre cinquant'anni questa umile Figlia della Carità, vera testimone dell'amore di Dio, visse prestandosi in diverse occupazioni nella casa di Schio: fu infatti cuciniera, guardarobiera, ricamatrice, portinaia.

Quando si dedicò a quest'ultimo servizio, le sue mani si posavano dolci e carezzevoli sulle teste dei bambini che ogni giorno frequentavano le scuole dell'Istituto. La sua voce amabile, che aveva l'inflessione delle nenie e dei canti della sua terra, giungeva gradita ai piccoli, confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell'Istituto.

La sua umiltà, la sua semplicità ed il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti i cittadini scledensi. Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà e il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore.

«Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!».

Venne la vecchiaia, venne la malattia lunga e dolorosa, ma M. Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana. A chi la visitava e le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: «Come vol el Paron».

Nell'agonia rivisse i terribili giorni della sua schiavitù e più volte supplicò l'infermiera che l'assisteva: «Mi allarghi le catene...pesano!».

Fu Maria Santissima a liberarla da ogni pena. Le sue ultime parole furono: «La Madonna! La Madonna!», mentre il suo ultimo sorriso testimoniava l'incontro con la Madre del Signore.

M. Bakhita si spense l'8 febbraio 1947 nella casa di Schio, circondata dalla comunità in pianto e in preghiera. Una folla si riversò ben presto nella casa dell'Istituto per vedere un'ultima volta la sua «Santa Madre Moretta» e chiederne la protezione dal cielo. La fama di santità si è ormai diffusa in tutti i continenti.

Il processo di canonizzazione iniziò nel 1959, a soli 12 anni dalla morte.

Il 1° dicembre 1978 Papa Giovanni Paolo II firmò il decreto dell'eroicità delle virtù della Serva di Dio Giuseppina Bakhita.

Durante lo stesso pontificato, Giuseppina Bakhita fu beatificata il 17 maggio 1992 e canonizzata il 1° ottobre 2000.

 
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view post Posted on 7/2/2012, 20:57

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Un modello femminile di santità

Bakhita: dalle catene all'altare


Fin dai tempi in cui era schiava in Africa, Bakhita, nei piccoli gesti, nelle parole, mostrava di essere vicina a Dio. Mai aveva preso per sé il cibo altrui, nemmeno quando era stretta dai morsi della fame. Lo confessava ricordando a Schio, già suora canossiana, quegli anni lontani: "Io non conoscevo Dio, facevo così perché sentivo dentro di me che dovevo comportarmi a quel modo". Questa naturalezza del cuore rimase uno dei tratti distintivi del suo carattere. Chi l'ha conosciuta lo conferma: "Madre Moretta" - così la chiamavano in Italia - si conservò semplice e schietta fino alla morte avvenuta nel 1947. Ne abbiamo parlato con suor Giulia Pozza, delle canossiane di Schio, attenta conoscitrice della figura e della spiritualità della futura santa sudanese.


Qual era il carattere di Bakhita? Quanto influì la sua storia personale?
Suor Bakhita era di grande bontà e rettitudine, due qualità forse ereditate dalla sua gente. Così pure la sua schiettezza e semplicità dovevano essere il retaggio della vita serena e libera dei campi, e le permettevano di esprimersi liberamente con tutti. Era già ammalata e seduta su una carrozzella quando un vescovo le chiese cosa stesse facendo. Lei senza esitazione rispose: "Quello che sta facendo lei: la volontà di Dio". E alla sua superiora, che a fine guerra le confidava alcune preoccupazioni che l'assillavano, Bakhita con calma rispondeva: "Lei madre si meraviglia che nostro Signore la triboli? Se non viene da noi con un po' di patire, da chi deve andare? Sì, madre, pregherò e tanto, ma perché si faccia la sua volontà". Un'altra caratteristica del suo animo era l'umile sottomissione. Nella domanda di ammissione all'Istituto dichiarò che desiderava "fare tutto ciò che le fosse stato richiesto". Si prodigava con prontezza di cuore e grande impegno nei vari uffici domestici, passando con disinvolta serenità dalla cucina alla sagrestia, dalla portineria al laboratorio di ricamo (nel quale era molto esperta). È diventato celebre un suo motto: "Come vól el Paron", e cioè "Come desidera il Signore", padrone infinitamente buono, meritevole di essere servito con tutto l'amore possibile. La sua totale disponibilità al Padre sarebbe continuata anche dopo la morte. A chi si raccomandava alle sue preghiere mentre era ammalata rispondeva: "Se el Paron me lo permetterà, lassù mi occuperò di tutti". Un sacerdote per metterla alla prova un giorno le chiese: "Se nostro Signore non la volesse in paradiso che cosa farebbe?" E lei tranquillamente: "Mi metta dove vuole. Quando sono con Lui e dove vuole Lui, io sto bene dappertutto. Lui è il padrone, io sono la sua povera creatura".

Quali erano le sue occupazioni a Schio? Come la ricorda la gente?
Per 45 anni praticò a Schio la carità e tutti la ricordano ancora con tanta tenerezza e riconoscenza. Dapprima erano colpiti dalla sua provenienza geografica, poi quando la conoscenza si approfondiva, avvicinandola in chiesa o in portineria, dove svolgeva le sue mansioni, nascevano la stima e l'ammirazione per la sua bontà. Era notevole anche il senso di responsabile carità che dimostrava verso le consorelle ammalate. Non solo preparava i cibi prescritti dai medici, ma presentava le portate in modo che ogni paziente fosse oggetto del suo amore. Noncurante di sé, non si lamentava mai. Quando si ammalò la sua unica preoccupazione era di non recare disturbo a nessuno. Inferma ormai da mesi le fu chiesto se soffrisse. Ammise: "Un pochetto sì, ma ho tanti peccati da scontare e poi ci sono gli africani da salvare, i peccatori da aiutare...".

Quale il senso della sua vocazione?
Bakhita aveva capito il vero valore della vita, perciò aveva sempre saputo fare le scelte giuste. Come quando già catecumena, non volle più tornare in Africa perché non avrebbe più potuto professare la fede nel Signore. Perciò, temendo di perdere Dio che aveva iniziato a conoscere e ad amare, non seguì i suoi ultimi padroni. "Li lasciai piangendo - ricorderà nelle sue memorie - e mi ritirai contenta di non aver ceduto. Era il 29 novembre 1889". Quella data memorabile segnò il suo ritorno alla libertà. Sette anni dopo fece la professione solenne di suora canossiana.

Bakhita, nata in Africa, compì la sua missione in Italia, terra evangelizzata da secoli. Sembra un paradosso.
È stato veramente così, perché Bakhita, pur essendo africana, fu vera evangelizzatrice con la sua testimonianza di fede semplice ma sempre coerente con i principi del Vangelo, attraverso una preghiera intensa per quanti aveva lasciato in Africa e per quanti incontrava sul suo cammino, specialmente i piccoli, i poveri, i sofferenti.

Quale l'attualità della sua testimonianza? Per il Sudan, per il Veneto, per l'Italia...
Oggi, che si è perso il senso del futuro, Bakhita evangelizza il mondo con la sua speranza, che è certezza delle "cose migliori" nella vita che non muore. Infatti lei, che non rivide più nessuno della sua famiglia, era certa che avrebbe ritrovato i propri cari nell'aldilà, dove eterna è la vita. Amava la vera libertà, quella dello spirito. Di fronte al mondo di oggi, mai soddisfatto, sempre alla ricerca del potere, del possesso, dei piaceri, Bakhita mette in guardia da ciò che allontana da Dio e rende schiavi del proprio io e delle proprie passioni. In quest'anno giubilare poi il suo insegnamento più forte è la capacità di perdono, di "purificazione della memoria". Riferendosi alla sua condizione di schiava, riguardo a coloro che l'avevano rapita e trattata barbaramente, diceva: "Mi inginocchierei a baciar loro le mani, perché se ciò non fosse accaduto non sarei ora cristiana e religiosa".

Madre Giuseppina Bakhita, prima beata adesso santa. Quali sono i miracoli attribuiti alla sua intercessione?
Sembrerà singolare, ma pare che il Signore abbia avuto fretta di elevare alla santità la sua piccola schiava. Le ha concesso il miracolo per la beatificazione l'anno stesso della morte, nel 1947, e quello per la canonizzazione l'anno della beatificazione. Infatti il 22 ottobre 1947 - Bakhita era morta quasi otto mesi prima - la canossiana suor Mari Silla di Pavia, veniva istantaneamente guarita da "ostoartrite e sinovite specifica al ginocchio sinistro". Invece il 27 maggio 1992, a Santos in Brasile, Eva da Costa Onishi guariva miracolosamente da "ulcerazioni infette negli arti inferiori prodotte da insufficienza cronica del circolo venoso, diabete mellito, obesità e ipertensione".

Le canossiane come stanno vivendo la prossima canonizzazione di suor Giuseppina Bakhita?
Per noi canossiane la canonizzazione di Bakhita pone forti interrogativi, una richiesta di verifica sull'oggi, poiché viviamo in una realtà in cui sembra impossibile essere come lei dono e gratuità. Dal punto di vista dei preparativi per onorare l'evento, organizzeremo percorsi per i pellegrini e verranno effettuati lavori di ristrutturazione della residenza di Schio.

 
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view post Posted on 8/2/2012, 18:44

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CITAZIONE

Franca Medjugorje scrive: FACCI CONOSCERE IL TUO SPIRITO SANTO BAKHITA.....PREGA PER NOI PECCATORI


 
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