Gesù Luce del mondo

LE SS. QUARANTORE CON IL XXV CONGRESSO EUCARISTICO di ANCONA

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view post Posted on 19/2/2012, 12:47

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GESUE30

I CONGRESSI EUCARISTICI

I Congressi eucaristici sono nati nella seconda metà del secolo XIX in Francia.
È stata una donna di nome Emilie Tamisier (1834 - 1910) su ispi-razione di san Pier Giuliano Eymard (1811-1868), chiamato “l’Apostolo dell’Eucaristia” a prendere l’iniziativa di organizzare, con l’aiuto di altri laici, sacerdoti e vescovi e con la benedizione del papa Leone XIII, il primo Congresso eucaristico internazionale a Lille, il cui tema era: “L’Eucaristia salva il mondo”. Si credeva infatti di trovare nella rinnovata fede in Cristo presente nell’Eucaristia il rimedio all’ignoranza e all’indifferenza religiosa.

I primi Congressi erano ispirati dalla viva fede nella presenza reale della persona di Gesù Cristo nel sacramento dell’Eucaristia. Di conseguenza, il culto eucaristico si esprimeva particolarmente nella adorazione solenne e in grandiose processioni finalizzate al trionfo dell’Eucaristia.
A partire dai decreti di san Pio X sulla comunione frequente e sulla comunione dei bambini, nella preparazione e celebrazione dei Congressi si promuovevano la comunione frequente degli adulti e la prima comunione dei bambini.

Con il pontificato di Pio XI i Congressi eucaristici diventano inter-nazionali, nel senso che cominciano ad essere celebrati a rotazione in tutti i continenti, acquistando una dimensione missionaria e di “ri-evangelizzazione”.

In seguito, il Concilio Vaticano II, i Congressi eucaristici si apri-ranno ai problemi del mondo contemporaneo, all’ecumenismo e an-che, nella preparazione, al dialogo interreligioso.


IL DOPO-CONGRESSO

Per far fruttificare Congresso Eucaristico Internazionale è indi-spensabile darne seguito nelle diocesi e nelle parrocchie in modo che i Congressi eucaristici non rimangano solo un bel ricordo personale, ma abbiano una continuità e uno slancio missionario.

IL TEMA DEL CONGRESSO EUCARISTICO DI ANCONA

“Signore da chi andremo? L’Eucaristia per la vita quotidiana”.
È questo il tema del XXV Congresso Eucaristico Nazionale, che si è TENUTO ad Ancona e nelle diocesi della metropolìa dal 4 all’11 set-tembre 2011.
La settimana si è articolata in momenti spirituali e celebrativi, ri-flessioni e testimonianze ed è culminata con una solenne Celebrazione eucaristica domenica 11 settembre 2011 ad Ancona, con la partecipazione del Papa.

I significati del Congresso Eucaristico sono molteplici.
In primo luogo, si tratta di un atto di fede nell'Eucarestia e un evento di comunione per l’intera Chiesa italiana che in quei giorni ha visto convergere nel capoluogo marchigiano migliaia di fedeli da tut-te le diocesi.
L’evento riveste anche un significato sociale e culturale perché l'Eucarestia, sacramento dell'amore di Dio per gli uomini, è pane del cammino storico dei credenti e fermento di novità in tutti gli aspetti del vivere umano.

È per questo che ad Ancona è stato sottolineato il dono dell’Eucaristia per la vita quotidiana, attraverso la ripresa dei cinque ambiti dell’esistenza già al centro del Convegno ecclesiale di Verona nel 2006:
la vita affettiva,
il lavoro e la festa,
la fragilità umana,
la tradizione,
la cittadinanza.

Sfondo biblico dell’intero appuntamento: il capitolo 6 del vange-lo di Giovanni, da cui è tratto il versetto posto nel titolo. “Signore, da chi andremo?”
È la domanda che l’apostolo Pietro rivolge a Gesù a conclusione del discorso sulla Parola e il Pane di vita.
Ed è anche la domanda che dopo duemila anni ritorna come la questione centrale della vita dei cristiani oggi.
Non dobbiamo stupirci dell’accostamento tra l’Eucaristia, la sua celebrazione ed Adorazione - e la vita concreta quotidiana con i suoi ambiti e problemi: quando noi andiamo a Messa o stiamo in Adorazione davanti al SS. Sacramento, forse non portiamo lì anche tutta la nostra vita? Forse che non affidiamo a Gesù, presente nell’Eucaristia, le nostre famiglie, il lavoro, la salute dei nostri cari, la pace, la vita della società?

E dunque è quanto mai appropriato il tema e lo svolgimento del Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona 2011!

E lo stesso dovremo dire delle SANTE QUARANTORE di quest’anno 2011: celebriamo l’Eucaristia, adoriamola solennemente esposta al centro della nostra comunità cristiana cittadina, guardia-mo all’Ostia Santa - Gesù realmente presente - e parliamogli della vita, della vita quotidana…. Ci capirà, ci aiuterà. Come dire:

DALLA VITA ALL’EUCARISTIA….
…DALL’EUCARISTIA ALLA VITA

Sarò felice di coinvolgermi con tutti voi, cari cristiani, celebrando con voi e per voi, predicando ed adorando con voi e per voi: mai, co-me nelle SANTE QUARANTORE mi sento vostro fratello e figlio e pa-dre

don Ambrogio




Lo schema di questo libretto - che vi suggerisco di usare, portare a casa, riutilizzare nei diversi momenti di Adorazione Eucaristica vissuti dalla nostra Comunità - è il seguente:

INTRODUZIONE
DISCORSI DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
ALTRE RIFLESSIONI SUL CONGRESSO EUCARISTICO
ADORAZIONE COMUNITARIA
PENSIERI SULL’EUCARISTIA


CELEBRAZIONE EUCARISTICA A CONCLUSIONE DEL
XXV CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE ITALIANO
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Cantiere Navale di Ancona -
Domenica, 11 settembre 2011


Carissimi fratelli e sorelle!
Sei anni fa, il primo viaggio apostolico in Italia del mio pontificato mi condusse a Bari, per il 24° Congresso Eucaristico Nazionale.
Oggi sono venuto a concludere solennemente il 25°, qui ad An-cona. Ringrazio il Signore per questi intensi momenti ecclesiali che rafforzano il nostro amore all’Eucaristia e ci vedono uniti attorno all’Eucaristia!
Bari e Ancona, due città affacciate sul mare Adriatico; due città ricche di storia e di vita cristiana; due città aperte all’Oriente, alla sua cultura e alla sua spiritualità; due città che i temi dei Congressi Euca-ristici hanno contribuito ad avvicinare: a Bari abbiamo fatto memoria di come “senza la Domenica non possiamo vivere”; oggi il nostro ri-trovarci è all’insegna dell’“Eucaristia per la vita quotidiana”.

Prima di offrivi qualche pensiero, vorrei ringraziarvi per questa vostra corale partecipazione: in voi abbraccio spiritualmente tutta la Chiesa che è in Italia. …….


“Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6,60). Davanti al discorso di Gesù sul pane della vita, nella Sinagoga di Cafarnao, la reazione dei discepoli, molti dei quali abbandonarono Gesù, non è molto lontana dalle nostre resistenze davanti al dono totale che Egli fa di se stesso.

Perché accogliere veramente questo dono vuol dire perdere se stessi, lasciarsi coinvolgere e trasformare, fino a vivere di Lui, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella seconda Lettura: “Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm 14,8).
“Questa parola è dura!”; è dura perché spesso confondiamo la libertà con l’assenza di vincoli, con la convinzione di poter fare da so-li, senza Dio, visto come un limite alla libertà.
E’ questa un’illusione che non tarda a volgersi in delusione, ge-nerando inquietudine e paura e portando, paradossalmente, a rim-piangere le catene del passato: “Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto…” – dicevano gli ebrei nel deserto (Es 16,3), come abbiamo ascoltato. In realtà, solo nell’apertura a Dio, nell’accoglienza del suo dono, diventiamo veramente liberi, liberi dalla schiavitù del peccato che sfigura il volto dell’uomo e capaci di servire al vero bene dei fratelli.

“Questa parola è dura!”; è dura perché l’uomo cade spesso nell’illusione di poter “trasformare le pietre in pane”.
Dopo aver messo da parte Dio, o averlo tollerato come una scel-ta privata che non deve interferire con la vita pubblica, certe ideolo-gie hanno puntato a organizzare la società con la forza del potere e dell’economia. La storia ci dimostra, drammaticamente, come l’obiettivo di assicurare a tutti sviluppo, benessere materiale e pace prescindendo da Dio e dalla sua rivelazione si sia risolto in un dare agli uomini pietre al posto del pane.
Il pane, cari fratelli e sorelle, è “frutto del lavoro dell’uomo”, e in questa verità è racchiusa tutta la responsabilità affidata alle nostre mani e alla nostra ingegnosità; ma il pane è anche, e prima ancora, “frutto della terra”, che riceve dall’alto sole e pioggia: è dono da chiedere, che ci toglie ogni superbia e ci fa invocare con la fiducia de-gli umili: “Padre (…), dacci oggi il nostro pane quotidiano” (Mt 6,11).

L’uomo è incapace di darsi la vita da se stesso, egli si comprende solo a partire da Dio: è la relazione con Lui a dare consistenza alla no-stra umanità e a rendere buona e giusta la nostra vita. Nel Padre no-stro chiediamo che sia santificato il Suo nome, che venga il Suo regno, che si compia la Sua volontà.
E’ anzitutto il primato di Dio che dobbiamo recuperare nel no-stro mondo e nella nostra vita, perché è questo primato a permetterci di ritrovare la verità di ciò che siamo, ed è nel conoscere e seguire la volontà di Dio che troviamo il nostro vero bene. Dare tempo e spazio a Dio, perché sia il centro vitale della nostra esistenza.
Da dove partire, come dalla sorgente, per recuperare e riaffer-mare il primato di Dio?
Dall’Eucaristia: qui Dio si fa così vicino da farsi nostro cibo, qui Egli si fa forza nel cammino spesso difficile, qui si fa presenza amica che trasforma.
Già la Legge data per mezzo di Mosè veniva considerata come “pane del cielo”, grazie al quale Israele divenne il popolo di Dio, ma in Gesù la parola ultima e definitiva di Dio si fa carne, ci viene incontro come Persona. Egli, Parola eterna, è la vera manna, è il pane della vita (cfr Gv 6,32-35) e compiere le opere di Dio è credere in Lui (cfr Gv 6,28-29).

Nell’Ultima Cena Gesù riassume tutta la sua esistenza in un ge-sto che si inscrive nella grande benedizione pasquale a Dio, gesto che Egli vive da Figlio come rendimento di grazie al Padre per il suo immenso amore. Gesù spezza il pane e lo condivide, ma con una profondità nuova, perché Egli dona se stesso. Prende il calice e lo condivide perché tutti ne possano bere, ma con questo gesto Egli dona la “nuova alleanza nel suo sangue”, dona se stesso.
Gesù anticipa l’atto di amore supremo, in obbedienza alla volontà del Padre: il sacrificio della Croce. La vita gli sarà tolta sulla Croce, ma già ora Egli la offre da se stesso. Così la morte di Cristo non è ridotta ad un’esecuzione violenta, ma è trasformata da Lui in un libero atto d’amore, in un atto di auto-donazione, che attraversa vittoriosamente la stessa morte e ribadisce la bontà della creazione uscita dalle mani di Dio, umiliata dal peccato e finalmente redenta.

Questo immenso dono è a noi accessibile nel Sacramento dell’Eucaristia: Dio si dona a noi, per aprire la nostra esistenza a Lui, per coinvolgerla nel mistero di amore della Croce, per renderla partecipe del mistero eterno da cui proveniamo e per anticipare la nuova condizione della vita piena in Dio, in attesa della quale viviamo.

Ma che cosa comporta per la nostra vita quotidiana questo par-tire dall’Eucaristia per riaffermare il primato di Dio?

La comunione eucaristica, cari amici, ci strappa dal nostro individualismo, ci comunica lo spirito del Cristo morto e risorto, e ci conforma a Lui; ci unisce intimamente ai fratelli in quel mistero di comunione che è la Chiesa, dove l’unico Pane fa dei molti un solo corpo (cfr 1 Cor 10,17), realizzando la preghiera della comunità cristiana delle origini riportata nel libro della Didaché: “Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa dai confini della terra venga radunata nel tuo Regno” (IX, 4).
L’Eucaristia sostiene e trasforma l’intera vita quotidiana. Come ricordavo nella mia prima Enciclica, “nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri”, per cui “un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata” (Deus caritas est, 14).

La bimillenaria storia della Chiesa è costellata di santi e sante, la cui esistenza è segno eloquente di come proprio dalla comunione con il Signore, dall’Eucaristia nasca una nuova e intensa assunzione di responsabilità a tutti i livelli della vita comunitaria, nasca quindi uno sviluppo sociale positivo, che ha al centro la persona, specie quella povera, malata o disagiata.

Nutrirsi di Cristo è la via per non restare estranei o indifferenti alle sorti dei fratelli, ma entrare nella stessa logica di amore e di dono del sacrificio della Croce; chi sa inginocchiarsi davanti all’Eucaristia, chi riceve il corpo del Signore non può non essere attento, nella trama ordinaria dei giorni, alle situazioni indegne dell’uomo, e sa piegarsi in prima persona sul bisognoso, sa spezzare il proprio pane con l’affamato, condividere l’acqua con l’assetato, rivestire chi è nudo, visitare l’ammalato e il carcerato (cfr Mt 25,34-36). In ogni persona saprà vedere quello stesso Signore che non ha esitato a dare tutto se stesso per noi e per la nostra salvezza.

Una spiritualità eucaristica, allora, è vero antidoto all’individualismo e all’egoismo che spesso caratterizzano la vita quotidiana, porta alla riscoperta della gratuità, della centralità delle relazioni, a partire dalla famiglia, con particolare attenzione a lenire le ferite di quelle disgregate.
Una spiritualità eucaristica è anima di una comunità ecclesiale che supera divisioni e contrapposizioni e valorizza le diversità di cari-smi e ministeri ponendoli a servizio dell’unità della Chiesa, della sua vitalità e della sua missione.
Una spiritualità eucaristica è via per restituire dignità ai giorni dell’uomo e quindi al suo lavoro, nella ricerca della sua conciliazione con i tempi della festa e della famiglia e nell’impegno a superare l’incertezza del precariato e il problema della disoccupazione.
Una spiritualità eucaristica ci aiuterà anche ad accostare le di-verse forme di fragilità umana consapevoli che esse non offuscano il valore della persona, ma richiedono prossimità, accoglienza e aiuto.
Dal Pane della vita trarrà vigore una rinnovata capacità educati-va, attenta a testimoniare i valori fondamentali dell’esistenza, del sapere, del patrimonio spirituale e culturale; la sua vitalità ci farà abitare la città degli uomini con la disponibilità a spenderci nell’orizzonte del bene comune per la costruzione di una società più equa e fraterna.

Cari amici, ripartiamo da questa terra marchigiana con la forza dell’Eucaristia in una costante osmosi tra il mistero che celebriamo e gli ambiti del nostro quotidiano. Non c’è nulla di autenticamente umano che non trovi nell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza: la vita quotidiana diventi dunque luogo del culto spirituale, per vivere in tutte le circostanze il primato di Dio, all’interno del rapporto con Cristo e come offerta al Padre (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 71).

Sì, “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4): noi viviamo dell’obbedienza a questa pa-rola, che è pane vivo, fino a consegnarci, come Pietro, con l’intelligenza dell’amore: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).
Come la Vergine Maria, diventiamo anche noi “grembo” dispo-nibile ad offrire Gesù all’uomo del nostro tempo, risvegliando il desi-derio profondo di quella salvezza che viene soltanto da Lui. Buon cammino, con Cristo Pane di vita, a tutta la Chiesa che è in Italia! A-men.

INCONTRO CON I GIOVANI FIDANZATI
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Piazza del Plebiscito, Ancona
Domenica, 11 settembre 2011

Cari fidanzati!
Sono lieto di concludere questa intensa giornata, culmine del Congresso Eucaristico Nazionale, incontrando voi, quasi a voler affi-dare l’eredità di questo evento di grazia alle vostre giovani vite. Del resto, l’Eucaristia, dono di Cristo per la salvezza del mondo, indica e contiene l’orizzonte più vero dell’esperienza che state vivendo: l’amore di Cristo quale pienezza dell’amore umano. Ringrazio l’Arcivescovo di Ancona-Osimo, Mons. Edoardo Menichelli, per il suo cordiale e profondo saluto, e tutti voi per questa vivace partecipazione; grazie anche per le domande che mi avete rivolto e che io accolgo confidando nella presenza in mezzo a noi del Signore Gesù: Lui solo ha parole di vita eterna, parole di vita per voi e per il vostro futuro!

Quelli che ponete sono interrogativi che, nell’attuale contesto sociale, assumono un peso ancora maggiore. Vorrei offrirvi solo qualche orientamento per una risposta.

Per certi aspetti, il nostro è un tempo non facile, soprattutto per voi giovani. La tavola è imbandita di tante cose prelibate, ma, come nell’episodio evangelico delle nozze di Cana, sembra che sia venuto a mancare il vino della festa.
Soprattutto la difficoltà di trovare un lavoro stabile stende un velo di incertezza sull’avvenire. Questa condizione contribuisce a ri-mandare l’assunzione di decisioni definitive, e incide in modo negativo sulla crescita della società, che non riesce a valorizzare appieno la ricchezza di energie, di competenze e di creatività della vostra generazione.

Manca il vino della festa anche a una cultura che tende a pre-scindere da chiari criteri morali: nel disorientamento, ciascuno è spinto a muoversi in maniera individuale e autonoma, spesso nel solo perimetro del presente. La frammentazione del tessuto comunitario si riflette in un relativismo che intacca i valori essenziali; la consonanza di sensazioni, di stati d’animo e di emozioni sembra più importante della condivisione di un progetto di vita.
Anche le scelte di fondo allora diventano fragili, esposte ad una perenne revocabilità, che spesso viene ritenuta espressione di liber-tà, mentre ne segnala piuttosto la carenza. Appartiene a una cultura priva del vino della festa anche l’apparente esaltazione del corpo, che in realtà banalizza la sessualità e tende a farla vivere al di fuori di un contesto di comunione di vita e d’amore.

Cari giovani, non abbiate paura di affrontare queste sfide! Non perdete mai la speranza. Abbiate coraggio, anche nelle difficoltà, rimanendo saldi nella fede.
Siate certi che, in ogni circostanza, siete amati e custoditi dall’amore di Dio, che è la nostra forza. Dio è buono. Per questo è importante che l’incontro con Dio, soprattutto nella preghiera perso-nale e comunitaria, sia costante, fedele, proprio come è il cammino del vostro amore: amare Dio e sentire che Lui mi ama. Nulla ci può separare dall’amore di Dio! Siate certi, poi, che anche la Chiesa vi è vicina, vi sostiene, non cessa di guardare a voi con grande fiducia. Es-sa sa che avete sete di valori, quelli veri, su cui vale la pena di costruire la vostra casa! Il valore della fede, della persona, della famiglia, delle relazioni umane, della giustizia.

Non scoraggiatevi davanti alle carenze che sembrano spegnere la gioia sulla mensa della vita.
Alle nozze di Cana, quando venne a mancare il vino, Maria invitò i servi a rivolgersi a Gesù e diede loro un’indicazione precisa: “Qualsi-asi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Fate tesoro di queste parole, le ulti-me di Maria riportate nei Vangeli, quasi un suo testamento spirituale, e avrete sempre la gioia della festa: Gesù è il vino della festa!

Come fidanzati vi trovate a vivere una stagione unica, che apre alla meraviglia dell’incontro e fa scoprire la bellezza di esistere e di essere preziosi per qualcuno, di potervi dire reciprocamente: tu sei importante per me. Vivete con intensità, gradualità e verità questo cammino. Non rinunciate a perseguire un ideale alto di amore, rifles-so e testimonianza dell’amore di Dio!

Ma come vivere questa fase della vostra vita, testimoniare l’amore nella comunità?
Vorrei dirvi anzitutto di evitare di chiudervi in rapporti intimistici, falsamente rassicuranti; fate piuttosto che la vostra relazione diventi lievito di una presenza attiva e responsabile nella comunità. Non dimenticate, poi, che, per essere autentico, anche l’amore richiede un cammino di maturazione: a partire dall’attrazione iniziale e dal “sentirsi bene” con l’altro, educatevi a “volere bene” all’altro, a “volere il bene” dell’altro. L’amore vive di gratuità, di sacrificio di sé, di perdono e di rispetto dell’altro.

Cari amici, ogni amore umano è segno dell’Amore eterno che ci ha creati, e la cui grazia santifica la scelta di un uomo e di una donna di consegnarsi reciprocamente la vita nel matrimonio. Vivete questo tempo del fidanzamento nell’attesa fiduciosa di tale dono, che va accolto percorrendo una strada di conoscenza, di rispetto, di attenzioni che non dovete mai smarrire: solo a questa condizione il linguaggio dell’amore rimarrà significativo anche nello scorrere degli anni.

Educatevi, poi, sin da ora alla libertà della fedeltà, che porta a custodirsi reciprocamente, fino a vivere l’uno per l’altro.
Preparatevi a scegliere con convinzione il “per sempre” che con-nota l’amore: l’indissolubilità, prima che una condizione, è un dono che va desiderato, chiesto e vissuto, oltre ogni mutevole situazione umana.
E non pensate, secondo una mentalità diffusa, che la convi-venza sia garanzia per il futuro. Bruciare le tappe finisce per “bruciare” l’amore, che invece ha bisogno di rispettare i tempi e la gradualità nelle espressioni; ha bisogno di dare spazio a Cristo, che è capace di rendere un amore umano fedele, felice e indissolubile. La fedeltà e la continuità del vostro volervi bene vi renderanno capaci anche di essere aperti alla vita, di essere genitori: la stabilità della vostra unione nel Sacramento del Matrimonio permetterà ai figli che Dio vorrà donarvi di crescere fiduciosi nella bontà della vita. Fedeltà, indissolubilità e trasmissione della vita sono i pilastri di ogni famiglia, vero bene comune, patrimonio prezioso per l’intera società. Fin d’ora, fondate su di essi il vostro cammino verso il matrimonio e testimoniatelo anche ai vostri coetanei: è un servizio prezioso!

Siate grati a quanti con impegno, competenza e disponibilità vi accompagnano nella formazione: sono segno dell’attenzione e della cura che la comunità cristiana vi riserva. Non siete soli: ricercate e ac-cogliete per primi la compagnia della Chiesa.

Vorrei tornare ancora su un punto essenziale: l’esperienza dell’amore ha al suo interno la tensione verso Dio. Il vero amore pro-mette l’infinito! Fate, dunque, di questo vostro tempo di preparazione al matrimonio un itinerario di fede: riscoprite per la vostra vita di coppia la centralità di Gesù Cristo e del camminare nella Chiesa. Maria ci insegna che il bene di ciascuno dipende dall’ascoltare con docilità la parola del Figlio. In chi si fida di Lui, l’acqua della vita quotidiana si muta nel vino di un amore che rende buona, bella e feconda la vita. Cana, infatti, è annuncio e anticipazione del dono del vino nuovo dell’Eucaristia, sacrificio e banchetto nel quale il Signore ci raggiunge, ci rinnova e trasforma.

Non smarrite l’importanza vitale di questo incontro: l’assemblea liturgica domenicale vi trovi pienamente partecipi: dall’Eucaristia sca-turisce il senso cristiano dell’esistenza e un nuovo modo di vivere (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 72-73). E non avrete, allora, paura nell’assumere l’impegnativa responsabilità della scelta coniugale; non temerete di entrare in questo “grande mistero”, nel quale due persone diventano una sola carne (cfr Ef 5,31-32).

Carissimi giovani, vi affido alla protezione di San Giuseppe e di Maria Santissima; seguendo l’invito della Vergine Madre – “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” – non vi mancherà il gusto della vera festa e saprete portare il “vino” migliore, quello che Cristo dona per la Chiesa e per il mondo. Vorrei dirvi che anch’io sono vicino a voi e a tutti coloro che, come voi, vivono questo meraviglioso cammino di amore. Vi benedico con tutto il cuore!

INCONTRO CON LE FAMIGLIE E CON I SACERDOTI
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Cattedrale di San Ciriaco, Ancona
Domenica, 11 settembre 2011

Cari sacerdoti e cari sposi!
Il colle su cui è costruita questa Cattedrale ci ha consentito un bellissimo sguardo sulla città e sul mare; ma nel varcare il maestoso portale l’animo rimane affascinato dall’armonia dello stile romanico, arricchito da un intreccio di influssi bizantini e di elementi gotici. An-che nella vostra presenza – sacerdoti e sposi provenienti dalle diverse diocesi italiane – si coglie la bellezza dell’armonia e della complementarità delle vostre differenti vocazioni.

La mutua conoscenza e la stima vicendevole, nella condivisione della stessa fede, portano ad apprezzare il carisma altrui e a ricono-scersi all’interno dell’unico “edificio spirituale” (1 Pt 2,5) che, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù, cresce ben ordinato per essere tempio santo nel Signore (cfr Ef 2,20-21).

Vorrei soffermarmi brevemente sulla necessità di ricondurre Ordine sacro e Matrimonio all’unica sorgente eucaristica.
Entrambi questi stati di vita hanno, infatti, nell’amore di Cristo, che dona se stesso per la salvezza dell’umanità, la medesima radice; sono chiamati ad una missione comune: quella di testimoniare e rendere presente questo amore a servizio della comunità, per l’edificazione del Popolo di Dio (cfr Catechismo della Chiesa Cattoli-ca, n. 1534).
Questa prospettiva consente anzitutto di superare una visione riduttiva della famiglia, che la considera come mera destinataria dell’azione pastorale. È vero che, in questa stagione difficile, essa necessita di particolari attenzioni. Non per questo, però, ne va smi-nuita l’identità e mortificata la specifica responsabilità.
La famiglia è ricchezza per gli sposi, bene insostituibile per i fi-gli, fondamento indispensabile della società, comunità vitale per il cammino della Chiesa.

A livello ecclesiale valorizzare la famiglia significa riconoscerne la rilevanza nell’azione pastorale. Il ministero che nasce dal Sacra-mento del Matrimonio è importante per la vita della Chiesa: la famiglia è luogo privilegiato di educazione umana e cristiana e rimane, per questa finalità, la migliore alleata del ministero sacerdotale; essa è un dono prezioso per l’edificazione della comunità.

La vicinanza del sacerdote alla famiglia, a sua volta, l’aiuta a prendere coscienza della propria realtà profonda e della propria mis-sione, favorendo lo sviluppo di una forte sensibilità ecclesiale. Nessuna vocazione è una questione privata, tantomeno quella al matrimonio, perché il suo orizzonte è la Chiesa intera.

Si tratta, dunque, di saper integrare ed armonizzare, nell’azione pastorale, il ministero sacerdotale con “l’autentico Vangelo del ma-trimonio e della famiglia” (CEI, Drettorio di pastorale familiare, 25 lu-glio 1993, 8) per una comunione fattiva e fraterna. E l’Eucaristia è il centro e la sorgente di questa unità che anima tutta l’azione della Chiesa.

Cari sacerdoti, per il dono che avete ricevuto nell’Ordinazione, siete chiamati a servire come Pastori la comunità ecclesiale, che è “famiglia di famiglie”, e quindi ad amare ciascuno con cuore paterno, con autentico distacco da voi stessi, con dedizione piena, continua e fedele: voi siete segno vivo che rimanda a Cristo Gesù, l’unico Buon Pastore.
Conformatevi a Lui, al suo stile di vita, con quel servizio totale ed esclusivo di cui il celibato è espressione. Anche il sacerdote ha una dimensione sponsale; è immedesimarsi con il cuore di Cristo Sposo, che dà la vita per la Chiesa sua sposa (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 24).

Coltivate una profonda familiarità con la Parola di Dio, luce nel vostro cammino.
La celebrazione quotidiana e fedele dell’Eucaristia sia il luogo dove attingere la forza per donare voi stessi ogni giorno nel ministero e vivere costantemente alla presenza di Dio: è Lui la vostra dimora e la vostra eredità.

Di questo dovete essere testimoni per la famiglia e per ogni persona che il Signore pone sulla vostra strada, anche nelle circostanze più difficili.
Incoraggiate i coniugi, condividetene le responsabilità e-ducative, aiutateli a rinnovare continuamente la grazia del loro ma-trimonio.
Rendete protagonista la famiglia nell’azione pastorale.

Siate accoglienti e misericordiosi, anche con quanti fanno più fa-tica ad adempiere gli impegni assunti con il vincolo matrimoniale e con quanti, purtroppo, vi sono venuti meno.

Cari sposi, il vostro Matrimonio si radica nella fede che “Dio è amore” e che seguire Cristo significa “rimanere nell’amore”. La vostra unione – come insegna San Paolo – è segno sacramentale dell’amore di Cristo per la Chiesa (cfr Ef 5,32), amore che culmina nella Croce e che è “significato e attuato nell’Eucaristia”.
Il Mistero eucaristico incida sempre più profondamente nella vostra vita quotidiana: traete ispirazione e forza da questo Sacramento per il vostro rapporto coniugale e per la missione educativa a cui siete chiamati; costruite le vostre famiglie nell’unità, dono che viene dall’alto e che alimenta il vostro impegno nella Chiesa e nel promuovere un mondo giusto e fraterno.
Amate i vostri sacerdoti, esprimete loro l’apprezzamento per il generoso servizio che svolgono. Sappiate sopportarne anche i limiti, senza mai rinunciare a chiedere loro che siano fra voi ministri esem-plari che vi parlano di Dio e che vi conducono a Dio. La vostra frater-nità è per loro un prezioso aiuto spirituale e un sostegno nelle prove della vita.

Cari sacerdoti e cari sposi, sappiate trovare sempre nella santa Messa la forza per vivere l’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa, nel perdono, nel dono di sé stessi e nella gratitudine. Il vostro agire quotidiano abbia nella comunione sacramentale la sua origine e il suo centro, perché tutto sia fatto a gloria di Dio. In questo modo, il sacrificio di amore di Cristo vi trasformerà, fino a rendervi in Lui “un solo corpo e un solo spirito” (cfr Ef 4,4-6).
L’educazione alla fede delle nuove generazioni passa anche at-traverso la vostra coerenza.
Testimoniate loro la bellezza esigente della vita cristiana, con la fiducia e la pazienza di chi conosce la potenza del seme gettato nel terreno. Come nell’episodio evangelico che abbiamo ascoltato (Mc 5,21-24.35-43), siate, per quanti sono affidati alla vostra responsabili-tà, segno della benevolenza e della tenerezza di Gesù: in Lui si rende visibile come il Dio che ama la vita non è estraneo o lontano dalle vi-cende umane, ma è l’Amico che mai abbandona.

E nei momenti in cui si insinuasse la tentazione che ogni impe-gno educativo sia vano, attingete dall’Eucaristia la luce per rafforzare la fede, sicuri che la grazia e la potenza di Gesù Cristo possono raggiungere l’uomo in ogni situazione, anche la più difficile.

Cari amici, vi affido tutti alla protezione di Maria, venerata in questa Cattedrale con il titolo di “Regina di tutti i Santi”. La tradizione ne lega l’immagine all’ex voto di un marinaio, in ringraziamento per la salvezza del figlio, uscito indenne da una tempesta di mare. Lo sguardo materno della Madre accompagni anche i vostri passi nella santità verso un approdo di pace.
Grazie.


ALTRE RIFLESSIONI SUL CONGRESSO EUCARISTICO


La Messa presieduta dal cardinale Antonelli:
«La domenica è della famiglia, non ridurlo a consumismo»

La domenica è “il giorno privilegiato della famiglia”: per questo “non bisogna rassegnarsi a lasciarlo ridurre a week end, fine settima-na consumista e individualista, disgregazione delle comunità e delle famiglie”.
Il richiamo è giunto sabato mattina ad Ancona dal card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, durante la celebrazione eucaristica all’interno del quarto pellegrinaggio delle famiglie in corso nel capoluogo marchigiano, iniziativa che quest’anno è inserita nel programma del Congresso eucaristico na-zionale.
La domenica, ha aggiunto il porporato, “è la pasqua settimana-le, il giorno del Signore e della Chiesa, il giorno della festa e della cari-tà. “Per questo – ha sottolineato – è anche il giorno privilegiato della famiglia” e “per i coniugi cristiani partecipare bene e possibil-mente insieme alla Messa significa alimentare l’amore reciproco, la carità coniugale”. “La partecipazione assidua alla messa della dome-nica – ha osservato il cardinale guardando alle tante coppie presenti con i loro figli – è il sostegno necessario e insostituibile della famiglia cristiana. Intorno a questo incontro settimanale col Signore nell’assemblea liturgica, la famiglia si costruisce come piccola chiesa missionaria e cellula vitale della società”.


L'Eucaristia illumina le «vite fragili»

Ad Ancona la relazione "forte" è stata quella di don Maurizio Chiodi, docente alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale. “La ‘grazia’ della guarigione o della salvezza non accade senza la fede di chi lo accoglie e cioè senza l’adesione concreta della libertà dell’uomo”. “
I racconti dei miracoli – ha spiegato – descrivono come chi in-contra Gesù lo invoca e chiede anche con insistenza, senza tuttavia pretendere, ma sempre affidandosi alla sua volontà”. Così, ha proseguito, “è necessario ricordare che la fede non è la conseguenza o l’effetto del miracolo, come noi moderni siamo propensi troppo semplicisticamente a pensare; al contrario, il miracolo suppone la fede, non la produce, quasi come se dovesse determinarla ‘a forza’, come spinto da una evidenza ‘causale’”.

A Loreto la riflessione è stata affidata a Paola Bignardi.

“Il dono più importante che mi ha fatto la malattia è il credere che la grazia, che gli altri chiedevano per me, non era la guarigione, ma il vivere nell’abbandono al Signore, il continuare a credere nel suo amore, a vivere dentro di esso”.
Lo ha detto la Bignardi, già presidente nazionale dell’Azione Cat-tolica, in Piazza della Madonna con i disabili e gli ammalati, che hanno gremito lo spazio davanti al santuario, nonostante il sole battente. Nella parte finale del suo intervento, la relatrice ha ricordato che Giovanni Paolo II, sette anni fa, proprio qui a Loreto, compiva il suo ultimo pellegrinaggio, con l’Azione Cattolica. “Ricordiamo tutti – ha detto – quell’Eucaristia celebrata senza fiato, la sofferenza di ogni parola e ogni gesto, lo sforzo di ogni incontro”.
Anche da malato, Giovanni Paolo II “è stato fedele fino alla fine alla missione che il Signore gli aveva affidato”, insegnandoci “come si attraversa la malattia continuando a vivere, come si muore vivendo”. “Nei giorni della malattia – ha testimoniato Bignardi – l’Eucaristia è stata parola di vita eterna, non presenza di consolazione, ma di condivisione: al di là di ogni parola, il Signore c’era, si era fatto povero e impotente come me.
L’Eucaristia è stata la forza che, giorno per giorno, mi ha aiutato a non smettere di credere nell’amore e nella bontà della vita. L’Eucaristia è un pane che non si può conservare, ma che ci aiuta a credere che ogni giorni si avrà pane per vivere, anche in situazioni che sembrano annientare la nostra umanità”.

“Gesù – ha precisato la relatrice ricordando l’episodio del Ge-tsemani – non ha amato il dolore, lo ha affrontato per obbedire a un disegno di amore, che è veramente più forte della morte”. “La malattia – ha proseguito - mi ha cambiato perché mi ha dato un altro punto di vista sulla vita: dal fronte dell’impotenza, della morte, le cose che contano cambiano, gli affetti sembrano più gratuiti.
La malattia è una strada per scoprire dimensioni altre: la profon-dità, la gratuità, la forza che c’è nella debolezza”. “La malattia mi ha insegnato – ha concluso la relatrice – che il valore della vita non sta in quello che facciamo, ma nell’amore di cui i gesti più semplici sono ca-richi. La vita non consiste in quello che riusciamo a realizzare, ma nel dono che facciamo di essa”.


Il Congresso Eucaristico e l’AFFETTIVITÀ

Ancona ha affrontato, lunedì 5 settembre, il primo ambito del convegno di Verona del 2006, quello riguardante l’affettività: ‘Euca-restia: passione di Dio per l’uomo’ con il prof. Domenico Simeone, docente all’Università di Macerata.

Diceva Madre Teresa che la peggiore malattia dell’Occidente non è la tubercolosi o la lebbra, ma il non sentirsi amati e desiderati, il sentirsi abbandonati… E’ alla luce di queste riflessioni che, a me sembra, possiamo affrontare il tema della prima giornata dedicata a ‘Eucaristia per l’affettività’.
E’ un invito a portare il pane dell’Eucaristia sulle vie e i percorsi della nostra vita quotidiana e a far irrompere nella nostra vita perso-nale, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità la spiritualità dell`amore eucaristico, di cui l’affettività e un aspetto importante”.

Nella relazione il professor Simeone, ricordando il documento ‘Educare alla vita buona del Vangelo’, ha affermato nella premessa che: “Le esperienze affettive sono sempre più spesso svincolate da ogni legame duraturo e al di fuori di qualsiasi logica progettuale e al tempo stesso i legami non sempre sono alimentati dalla dimensione affettiva. L’affettività è vissuta con passività, come una dimensione che non può essere controllata dalla volontà del soggetto.

Quindi oggi prevalgono i ‘legami senza conseguenze’, come è stato affermato da Baumann, come le relazioni nella rete virtuale: “Negli spazi del web i legami appaiono spesso fragili ed effimeri. Si costruiscono così comunità che evitano accuratamente di tessere reti di responsabilità che comportino impegni a lungo termine. Le interazioni giocate nel web sono spesso ‘un dono leggero’ che non impegna chi lo riceve. Molto spesso nella comunicazione in rete, chi comunica sembra farlo per soddisfare un proprio bisogno piuttosto che per ‘incontrare’ il proprio interlocutore”.


ADORAZIONE COMUNITARIA


CANTO DI INIZIO

Sac. Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
Tutti: Amen

Tutti: O Spirito Santo, Dio d'amore, che fortifichi e rallegri le anime dei tuoi fedeli, donaci, in nome della tua misericordia infinita, di esse-re fedeli lavoratori nella Vigna mistica, carichi di frutti, affinché, dopo aver glorificato il Padre e il Figlio in questo mondo con una vita santa, possiamo con te lodarli ancora, in unione con Maria e con tutta la corte celeste, per tutta l'eternità.
Tu che vivi con il Padre ed il Figlio nei secoli dei secoli. AMEN


In sintonia con il XXV Congresso Eucaristico di Ancona 2011, ci mettiamo alla Presenza di Ge-sù nell’Eucaristia per adorarlo presente nel SS. Sacramento, ma anche nella nostra vita quoti-diana. Dei cinque “ambiti” considerati ad Ancona, oggi privilegiamo quello - troppo spesso - meno considerato negli ambienti “di chiesa”: il LAVORO



Dal libro della Genesi (1,1-2.24-24)

In Principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: “ La terra produca esseri viventi secondo la loro spe-cie: bestiame, rettili e bestie selvatiche, secondo la loro specie”. E così avvenne: Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona.
E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somi-glianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul be-stiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; ma-schio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro:
“ Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; Soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”.

Dall’ enciclica Laborem exercens ( n.6)

Colui, il quale essendo Dio è divenuto simile a noi in tutto, dedi-cò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro ma-nuale, presso un banco di carpentiere. Questa circostanza costi-tuisce da sola il più eloquente “Vangelo del lavoro”, che manifesta come l fondamento per determinare il valore del lavoro umano non sia prima di tutto il genere di lavoro che si compie, ma il fatto che colui che lo esegue è una persona. (…) In ultima analisi, lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall’uomo – fosse pure il lavoro più “di servizio”, più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante – rimane sempre l’uomo stesso.


Pausa di riflessione


Preghiamo a cori alterni

Da piccolo, Signore Gesù, in una bottega di artigiano ti sei guadagna-to il pane col sudore della tua fronte.

Da allora il lavoro ha acquistato una nobiltà divina. Con il lavoro ci convertiamo in compagni e collaboratori di Dio e in artefici della no-stra storia.

Il lavoro è l’incudine dove l’uomo forgia la sua maturità e la sua gran-dezza, la farina con cui impasta il pane quotidiano.

Il materiale, passando per le mani dell’uomo, si trasforma in veicolo d’amore.

Donaci, Signore, la grazia di offrirti il lavoro quotidiano come un gesto liturgico, come una messa vivente a gloria tua e al servizio dei fratelli.
Amen


Dal Vangelo secondo Matteo (25, 14-15.19-21)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi par-tì.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”».

 Dal lavoro all’Eucaristia: la presentazione dei doni

La riflessione sul rapporto che esiste tra l’Eucaristia e il lavoro non può non partire dalla benedizione per la presentazione dei doni nella celebrazione eucaristica: «Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane (questo vino), frutto della terra (della vite) e del lavoro dell’uomo. Lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna». Al vino si unisce un po’ d’acqua per esprimere «la nostra unione con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana».
Il pane e il vino, e l’acqua, sono presentati come frutti della ter-ra, della vite e del lavoro dell’uomo, perché attraverso la sua attività l’uomo prepara ciò che è indispensabile per celebrare l’Eucaristia: potremmo dire che se non ci fosse l’uomo che lavora non ci sarebbe l’Eucarestia. La Chiesa accoglie il lavoro come offerta, come collabo-razione con Dio creatore e redentore, e lo “trasforma” nel Corpo del Signore perché ridia a ciascuno di noi vita e speranza certa.
Benedetto XVI ci ricorda che la presentazione dei doni non è una «sorta di “intervallo” tra la liturgia della Parola e quella eucaristica. Ciò farebbe venir meno, tra l’altro, il senso dell’unico rito composto di due parti connesse. In questo gesto umile e semplice si manifesta, in realtà, un significato molto grande: nel pane e nel vino che portiamo all’altare tutta la creazione è assunta da Cristo Redentore per essere trasformata e presentata al Padre».


 Il lavoro nell’Eucaristia e nella preghiera della Chiesa - La li-turgia canta la bellezza del lavoro umano, individuale e sociale, come partecipazione all’opera creativa e redentiva di Dio e prega per la santificazione del lavoro con parole stupende:

«O Padre, che chiami gli uomini a cooperare, mediante il lavoro quo-tidiano, al disegno immenso della tua creazione, fa’ che nello sforzo comune di costruire un mondo più giusto e fraterno ogni uomo trovi un posto conveniente alla sua dignità, per attuare la propria vocazio-ne e contribuire al progresso di tutti».

In questa preghiera possiamo trovare gli elementi fondamentali del lavoro umano: cooperazione all’opera di Dio, fedeltà quotidiana, partecipazione comune, impegno di giustizia e fraternità fondato sulla dignità della persona umana, compimento della propria vocazione, contributo allo sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo. In tutta questa ricchezza di significati, il lavoro è assunto da Cristo uomo-Dio per essere consegnato al Padre, perche Dio sia tutto in tutti (cfr 1Cor 15,28).

 Si prega ancora per il lavoro (nel senso più ampio di atten-zione alla politica, alla giustizia e alla pace, alla custodia del creato, al bene comune) quando la Chiesa invoca la protezione di Dio: nel tempo della semina e del raccolto, per quanti migrano per lavoro lungo le vie del mondo, per la giustizia e la pace e per tutta la società civile.

A questi testi vanno aggiunti i non pochi riferimenti presenti nella celebrazione della Giornata mondiale per la pace (1° gennaio), nella Giornata per la salvaguardia del creato (1° settembre), nella Giornata per il ringraziamento (II domenica di novembre), nella Liturgia delle Ore, soprattutto nelle invocazioni delle Lodi e nelle intercessioni dei Vespri, e nel Benedizionale, strumento pastorale da valorizzare sempre più.


Pausa di riflessione


Preghiamo a cori alterni:

Beato chi cammina nella legge del Signore.
Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.

Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.

Siano stabili le mie vie
nel custodire i tuoi decreti.

Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge.

Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore.


 Benedetto XVI invita ad agire per consentire a tutti l’accesso e il mantenimento del lavoro.

Lo impongono: la dignità della persona, ogni uomo deve lavorare per essere se stesso; le esigenze della giustizia, per non aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza; la ragione economica, ciascuno può e deve contribuire allo sviluppo del proprio Paese.
L’impresa (cooperativa, azienda) è un patto per la crescita del territorio. La disoccupazione può essere sconfitta solo se si creano posti di lavoro, solo se esistono cooperatori, imprenditori, che scommettono sulla dignità della persona umana e sul territorio per la riuscita della loro impresa, come si sforza di mostrare la Chiesa italia-na attraverso il Progetto Policoro (evangelizzare, educare, esprimere impresa).
Nello storico incontro per il Giubileo mondiale dei lavoratori, Giovanni Paolo II – che ha conosciuto la fatica del lavoro operaio ed è stato beatificato proprio il 1° maggio – ci ha esortati a governare con saggezza la globalizzazione globalizzando la solidarietà «a favore del lavoro dignitoso».
Benedetto XVI, facendo proprio tale auspicio, afferma che il la-voro deve essere decente, cioè «un lavoro che, in ogni società, sia l’espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni don-na…».


 Eucaristia e lavoro: sant’Arcangelo Tadini
Sant’Arcangelo Tadini ci offre un esempio di come a partire dall’Eucaristia sia possibile vivere il lavoro, con tutti i suoi problemi anche gravi, come occasione di amore verso Dio e il prossimo.
Tadini, nato il 12 ottobre 1846 a Verolanuova (Brescia), sostava per lunghe ore in preghiera davanti all’Eucaristia e «avendo sempre di vista nel suo ministero pastorale la persona umana nella sua totali-tà, aiutava i suoi parrocchiani a crescere umanamente e spiritual-mente.
Questo santo sacerdote, uomo tutto di Dio, pronto in ogni circo-stanza a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, era allo stesso tempo disponibile a cogliere le urgenze del momento e a trovarvi rimedio».

Nel 1900 fondò le “Suore Operaie della Santa Casa di Naza-reth”, con il compito di educare le giovani lavorando con loro. Devoto dell’Eucaristia e di Maria, uomo di profonda preghiera, fu apostolo instancabile del mondo del lavoro, al quale additò come modello Gesù lavoratore a Nazareth.
Morì a Botticino Sera il 20 maggio 1912.
«Quanto profetica fu l’intuizione carismatica di Don Tadini e quanto attuale resta il suo esempio anche oggi, in un’epoca di grave crisi economica! Egli ci ricorda che solo coltivando un costante e pro-fondo rapporto con il Signore, specialmente nel Sacramento dell’Eucaristia, possiamo poi essere in grado di recare il fermento del Vangelo nelle varie attività lavorative e in ogni ambito della nostra società».
«Il mistero dell’Eucaristia ci abilita e ci spinge ad un impegno co-raggioso nelle strutture di questo mondo per portarvi quella novità di rapporti che ha nel dono di Dio la sua fonte inesauribile. La preghiera, che ripetiamo in ogni santa Messa: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, ci obbliga a fare tutto il possibile, in collaborazione con le istituzioni internazionali, statali, private».

 Per concludere

Il Congresso Eucaristico deve farci riscoprire i doni di Dio, la di-gnità della persona che lavora, la necessità di lodare, rendere grazie a Dio e incontrarlo in comunità autentiche dove ogni uomo è un fratello da amare e custodire nel nome di Gesù.
Impegniamoci a far rifiorire la speranza nei nostri cuori, puntan-do sull’educazione e sulla formazione dell’uomo a partire dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa, che non è un’appendice del magistero della Chiesa, ma un prezioso patrimonio per una nuova evangelizzazione alla luce della teologia di Gesù Cristo, redentore di ogni l’uomo. Senza Gesù, senza il Vangelo «non ci è dato forse di constatare nuovamente, proprio di fronte alla storia attuale, che nessuna positiva strutturazione del mondo può riuscire là dove le anime inselvatichiscono?».
Per concludere, un pensiero, tratto dai Discorsi di Sant’Agostino, straordinariamente attuale sulla crisi e il nostro impegno di far rifiorire la speranza, nutrendoci dell’Eucaristia:
«Voi dite: I tempi sono cattivi; i tempi sono pesanti; i tempi sono difficili. Vivete bene, e muterete i tempi» (311,8).


Pausa di riflessione


Preghiamo a cori alterni:

Sii benedetto, Dio onnipotente, creatore del cielo e della terra: noi riconosciamo la tua gloria negli immensi spazi stellari e nel più piccolo germe di vita che prorompe dal grembo della terra madre.

Nelle vicende e nei ritmi della natura tu continui l'opera della crea-zione.

La tua provvidenza senza limiti si estende alle grandi ere cosmiche e al breve volgere dei giorni, dei mesi e degli anni.

Ai figli dell'uomo, fatti a tua immagine tu affidi le meraviglie dell'uni-verso e doni loro il tuo Spirito, perché fedeli interpreti del tuo dise-gno di amore, ne rivelino le potenzialità nascoste e ne custodiscano la sapiente armonia per il bene di tutti.

Stendi su di noi la tua mano, o Padre, perché possiamo attuare un vero progresso nella giustizia e nella fraternità, senza presumere delle nostre forze.

Insegnaci a governare nel rispetto dell'uomo e del creato gli strumenti della scienza e della tecnica ¬ e a condividere i frutti della terra e del lavoro con i piccoli e i poveri.

Veglia su questa casa comune, perché non si ripetano per colpa no-stra le catastrofi della natura e della storia.

Concedi a tutti i tuoi figli di godere della tua continua protezione; fa' che la società del nostro tempo si apra verso orizzonti di vera civiltà in Cristo uomo nuovo.

A te il regno, la potenza e la gloria, nell'unità dello Spirito Santo per Cristo nostro Signore, oggi e nei secoli dei secoli. AMEN

Padre Nostro



BENEDIZIONE EUCARISTICA

Canto
Sac. Signore Gesù Cristo che nel mirabile sacramento dell’Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, fa che adoriamo con viva fede il Santo Mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue per sentire sempre in noi i benefici della Redenzione. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Amen

Benedizione Eucaristica

Dio sia benedetto.
Benedetto il Suo Santo Nome.
Benedetto Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo.
Benedetto il Nome di Gesù
Benedetto il suo Sacratissimo Cuore.
Benedetto il suo Preziosissimo Sangue.
Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell'altare.
Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.
Benedetta la gran Madre di Dio, Maria Santissima.
Benedetta la sua Santa ed Immacolata Concezione
Benedetta la sua gloriosa Assunzione.
Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.
Benedetto San Giuseppe suo castissimo sposo.
Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

ALTRI PENSIERI SULL’EUCARISTIA



Con un realismo che a noi moderni può sembrare eccessivo - e forse è solo segno della differenza non solo culturale ma anche di fede … - San Giovanni Crisostomo ci dice che il “bere il Sangue di Cristo nell’Eucaristia” è potente antidoto contro l’azione di satana: “Se mostrerai al maligno la lingua intrisa del sangue prezioso, non potrà resistere; se gli farai vedere la bocca tinta di porpora, come una fiera impaurita volterà di corsa le spalle”.
Alcuni secoli più tardi Alberto Magno esprimerà con altre parole lo stesso concetto: “L’Eucaristia ci offre un pascolo divino che ci rin-forza: in tal modo né il mondo, né il diavolo possono fare niente con-tro di noi”.


Luigi Monti, a 32 anni, è ancora alla ricerca della realizzazione concreta della sua consacrazione. In una lettera del 1896, a 4 anni dalla fine della sua vita, così rievocò la notte dello spirito, vissuta in questo periodo: “Passavo delle ore davanti a Gesù in Sacramento, ma erano tutte ore senza una stilla di celeste rugiada; il mio cuore rimaneva arido, freddo, insensibile.
Ero proprio sul punto di abbandonare ogni cosa, quando, tro-vandomi in camera, sento una voce interna chiara e distinta che mi dice: “Luigi, va al coretto della chiesa, ed esponi di nuovo le tue tribolazioni a Gesù Sacramentato”.
Do orecchio all'ispirazione, e mi affretto a seguirla. Mi inginoc-chio, e dopo non molto — meraviglia! — vedo due personaggi in forma umana. Li conosco. Era Gesù con la sua Madre Santissima, i quali mi si fanno dappresso e con voce alta mi dicono: “Luigi, molto avrai ancora da soffrire; altre lotte maggiori e varie avrai da incontra-re. Sta forte; di tutto ne uscirai vincitore; il nostro potente aiuto non ti verrà mai meno. Prosegui la via che incominciasti”. Sì dissero e di-sparvero”.
Non c’è nulla di magico nel Cristianesimo. Non ci sono scorcia-toie, ma tutto passa attraverso la logica umile e paziente del chicco di grano che si spezza per dare vita, la logica della fede che sposta le montagne con la forza mite di Dio. Per questo Dio vuole continuare a rinnovare l’umanità, la storia ed il cosmo attraverso questa catena di trasformazioni, di cui l’Eucaristia è il sacramento.
Mediante il pane e il vino consacrati, in cui è realmente presente il suo Corpo e Sangue, Cristo trasforma noi, assimilandoci a Lui: ci coinvolge nella sua opera di redenzione, rendendoci capaci, per la grazia dello Spirito Santo, di vivere secondo la sua stessa logica di donazione, come chicchi di grano uniti a Lui ed in Lui. Così si seminano e vanno maturando nei solchi della storia l’unità e la pace, che sono il fine a cui tendiamo, secondo il disegno di Dio.
Senza illusioni, senza utopie ideologiche, noi camminiamo per le strade del mondo, portando dentro di noi il Corpo del Signore, come la Vergine Maria nel mistero della Visitazione. Con l’umiltà di saperci semplici chicchi di grano, custodiamo la ferma certezza che l’amore di Dio, incarnato in Cristo, è più forte del male, della violenza e della morte.
Sappiamo che Dio prepara per tutti gli uomini cieli nuovi e terra nuova, in cui regnano la pace e la giustizia – e nella fede intrave-diamo il mondo nuovo, che è la nostra vera patria.

Bendetto XVI


Nella comunione eucaristica, Gesù ci trasforma in Sé e così la nostra individualità, in questo incontro, viene aperta, liberata dal suo egocentrismo e inserita nella Persona di Gesù, che a sua volta è im-mersa nella comunione trinitaria.
Così l’Eucaristia, mentre ci unisce a Cristo, ci apre anche agli altri, ci rende membra gli uni degli altri: non siamo più divisi, ma una cosa sola in Lui. La comunione eucaristica mi unisce alla persona che ho accanto, e con la quale forse non ho nemmeno un buon rapporto, ma anche ai fratelli lontani, in ogni parte del mondo.
Da qui, dall’Eucaristia, deriva dunque il senso profondo della presenza sociale della Chiesa, come testimoniano i grandi Santi sociali, che sono stati sempre grandi anime eucaristiche.

Chi riconosce Gesù nell’Ostia santa, lo riconosce nel fratello che soffre, che ha fame e ha sete, che è forestiero, ignudo, malato, carcerato; ed è attento ad ogni persona, si impegna, in modo concreto, per tutti coloro che sono in necessità.
Dal dono di amore di Cristo proviene pertanto la nostra speciale responsabilità di cristiani nella costruzione di una società solidale, giusta, fraterna.

Benedetto XVI


Sant’Agostino ci aiuta a comprendere la dinamica della comu-nione eucaristica quando fa riferimento ad una sorta di visione che ebbe, nella quale Gesù gli disse:
“Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me” (Conf. VII, 10, 18).
Mentre dunque il cibo corporale viene assimilato dal nostro or-ganismo e contribuisce al suo sostentamento, nel caso dell’Eucaristia si tratta di un Pane differente: non siamo noi ad assimilarlo, ma esso ci assimila a sé, così che diventiamo conformi a Gesù Cristo, membra del suo corpo, una cosa sola con Lui.
Benedetto XVI


E’ bella e molto eloquente l’espressione “ricevere la comunione” riferita all’atto di mangiare il Pane eucaristico. In effetti, quando compiamo questo atto, noi entriamo in comunione con la vita stessa di Gesù, nel dinamismo di questa vita che si dona a noi e per noi.
Da Dio, attraverso Gesù, fino a noi: un’unica comunione si tra-smette nella santa Eucaristia. Lo abbiamo ascoltato poco fa, nella se-conda Lettura, dalle parole dell’apostolo Paolo rivolte ai cristiani di Corinto: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1 Cor 10,16-17).
Benedetto XVI


La festa del Corpus Domini è inseparabile dal Giovedì Santo, dal-la Messa in Caena Domini, nella quale si celebra solennemente l’istituzione dell’Eucaristia.
Mentre nella sera del Giovedì Santo si rivive il mistero di Cristo che si offre a noi nel pane spezzato e nel vino versato, oggi, nella ri-correnza del Corpus Domini, questo stesso mistero viene proposto all’adorazione e alla meditazione del Popolo di Dio, e il Santissimo Sacramento viene portato in processione per le vie delle città e dei villaggi, per manifestare che Cristo risorto cammina in mezzo a noi e ci guida verso il Regno dei cieli.
Benedetto XVI


Il Tabernacolo, con la Presenza Viva e Reale del nostro DIO è davvero una risorsa divina. Poco conosciuta da milioni di cristiani. E dunque poco valorizzata.
Il nostro "starGli davanti" perciò è, oltre a preghiera nostra e per noi, anche un "aiutare la Chiesa". Aiutarla? Sì, a MANTENERE il tesoro dell'Eucaristia a disposizione di tutti, oggi e nel futuro.....

Ci conceda, lo Spirito Creatore, un amore costante alla Adora-zione di Gesù-Eucaristia presente nll'Ostia Santa dei nostri Taberna-coli (anche se a volte è un pochino faticoso anche per noi che amia-mo fortemente la sua Presenza Eucaristica: infatti, mentre alcune volte siamo attirati dolcemente a questa presenza, altre volte si fa un po' di fatica a lasciare le nostre cose per dedicare del tempo, anche prolungato, a "stare fermi", a non "fare nulla" davanti a Lui....)

Non l'abbiamo capito "una volta per sempre": ogni volta è da ri-conquistare. Anche se poi, di frequente, Dio ci concede di godere della sua consolazione.

Diciamoci queste cose, ripetiamole l'un l'altro, per aiutarci spiri-tualmente a vicenda. Non conta l'essere sacerdoti o madri di fami-glia.... Ogni persona è un dono: per se stesso e per l'altro. Ogni cuore è una forza.


“Portami quella scatola, altrimenti lei non resterà in ospedale” ordinava alla moglie Ashim Bardab cardiologo presso il Woodlands Hospital di Calcutta, ogni volta che Madre Teresa veniva ricoverata nell’Istituto.
La “scatoila” alla quale il medico faceva riferimento era il Taber-nacolo. Egli sapeva bene che la Madre non avrebbe accettato il rico-vero a meno che un Tabernacolo venisse collocato nella sua stanza.
Lo dice Seba, indù, moglie del cardiologo ad una platea di per-sone venute per una conferenza.


PREGHIERA A MARIA

Maria, madre di Gesù,
dammi il tuo cuore,
così bello,
così puro,
così immacolato,
così pieno d'amore e umiltà:
rendimi capace di ricevere Gesù
nel pane della vita,
amarlo come lo amasti e
e servirlo sotto le povere spoglie
del più povero tra i poveri.
Amen
Madre Teresa di Calcutta


Sant’Agostino, riflettendo sulla potenza divina che si manifesta nel sacramento dell’altare, escalmò: “Iddio, benché Tu fossi il più saggio, non potresti fare niente di migliore; sebbene Tu fossi onnipo-tente, non potresti fare niente di più perfetto; ancorché Tu fossi il più ricco, non avresti niente di più prezioso che il Santissimo Sacramen-to”.


Visitando otto anni fa la Terra Santa, sono rimasto particolar-mente impressionato dalla vista, sul Monte Tabor, del luogo della Trasfigurazione del Signore.
Il Signore Gesù, consapevole dell’avvicinarsi della Sua passione, volle consolidare nella fede nella sua divinità gli apostoli prescelti (Pietro, Giacemmo e Giovani) e si manifestò loro in tutto lo splendore della Sua gloria e della maestà.
Offrendo in quel luogo a Dio il sacrificio incruento, mi sono ri-cordato, o meglio, mi sono reso conto che il Cristo Signore fa il mira-colo della Trasfigurazione ogni giorno, non solo davanti agli Apostoli prescelti, ma davanti a tutti i presenti, in tutti i nostri santi templi, durante la santa messa, ove, benché non manifesti apertamente lo splendore della Sua gloria e maestà, operando la transustanziazione del pane in carne e del vino in sangue, risveglia la nostra fede agli stessi sentimenti che ebbero gli apostoli sul Monte Tabor.
don Michele Sopocko


Mons. Ranjith ha affermato: “Ci sentiamo fiaccati e scoraggiati dalle difficoltà della vita e per questo continuiamo ad affannarci cor-rendo in tutte le direzioni senza riconoscere che tutto è possibile a Dio. Le preoccupazioni e le fatiche di tutti i giorni trovano riposo in Cristo: per questo la nostra vita deve mettere al centro l’Eucaristia in cui è risposta la soluzione a tutti i nostri problemi”.


Invitando ad una conversione dei cuori, l’arcivescovo di Colom-bo, ha sottolineato che “l’Eucaristia è un atto dell’amore di Dio per l’uomo che troppo spesso viene dimenticato o svilito alla stregua di un qualunque gesto devozionale. Invece ogni volta che entriamo in Chiesa dovremmo sentire la gioia di essere davanti al Signorenell’Eucaristia e dire a noi stessi: ‘O Signore è meraviglioso essere qui!’”.


lettera di san Pio da Pietrelcina a Giuseppina Morgera, 5.05.1916

Dilettissima figlia di Gesù, Gesù in tutta la sua vita mortale ci diede continue prove di amore, ma fra queste le più insigne sono il sacrificio del Calvario e l'istituzione della SS. Eucaristia.

Portiamoci con pensiero al Cenacolo; miriamo Gesù seduto a mensa con gli Apostoli, ha gli occhi splendenti di una luce straordina-riamente soave; quel suo volto divino è oltre il solito accesso; Egli è pronto in una estasi d'amore! Rivolto agli Apostoli, con una voce commossa e affettuosa dice loro: Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi prima di partire.... Non si turbi però il cuore vostro e non tema, perché non vi lascerò orfani, ma sarò con voi sino alla consumazione dei secoli.

E finita la cena Pasquale prese il pane benedetto lo porge ai suoi: Prendete e mangiata: questo è il mio corpo!. E la sostanza del pane si cangiò nel suo adorabile corpo. Poi prese il calice, e rese le grazie, disse: Prendete e bevete: questo è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza, che deve essere sparso per voi in remissione dei peccati. E la sostanza del vino si mutò nel suo sangue preziosissimo.

Ma la carità di questi divino Amante, figliuola mia, non é ancora al colmo. Egli volle che non solo i presenti fossero partecipi d'un dono sì grande, ma ancora tutti i suoi seguaci nei secoli a venire. La sua parola: Fate questo in memoria di me assicura l'universalità del dono attraverso tutti i luoghi e tutti i tempi. Egli ha dato compimento alla brame amorose del suo Cuore santissimo, che pure aveva detto di trovare le sue delizie con i figli degli uomini.
La SS. Eucaristia non é solamente un compendio degli altri suoi doni, ma è un dono nuovo singolarissimo della sua immensa carità per noi, perché Gesù, dandosi in cibo e bevanda dell'uomo, con lui s'immedesima mediante l'unione la più perfetta che possa avverarsi fra le creature ed il Creatore; insieme con la santissima umanità gli dà i meriti infiniti acquistati su questa terra; gli dà la sua divinità con i tesori immensi della sua sapienza, della sua Onnipotenza, della sua bontà.



A CONCLUSIONE DEL 25° CONGRESSO EUCARISTICO DI ANCONA

“Nutrirsi di Cristo è la via per non restare estranei o indifferenti
alle sorti dei fratelli”
di Carlo Mafera


Cos’è rimasto del Congresso Eucaristico di Ancona?
Credo che, tra i tanti discorsi, siano stati fondamentali e significa-tivi soprattutto due passaggi dell’omelia di Benedetto XVI durante la messa dell’11 settembre, in cui il pontefice ha messo in evidenza lo spirito di servizio che l’Eucarestia fortemente richiama nella sua isti-tuzione. Tanto è intriso questo spirito nel Sacramento dell’altare che l’evangelista Giovanni, al posto dell’Ultima Cena descritta nei vangeli sinottici mette invece la lavanda dei piedi. E ciò la dice lunga sullo stretto legame tra Eucarestia e l’amore verso i fratelli, e in particolare quell’amore più prosaico e “fastidioso”.

Ecco i passaggi che mi hanno molto colpito e che, penso, rimar-ranno nelle menti e nei cuori di chi li ha ascoltati: “Ma che cosa com-porta per la nostra vita quotidiana questo partire dall’Eucaristia per riaffermare il primato di Dio?
La comunione eucaristica, cari amici, ci strappa dal nostro indivi-dualismo, ci comunica lo spirito del Cristo morto e risorto, ci confor-ma a Lui; ci unisce intimamente ai fratelli in quel mistero di comunio-ne che è la Chiesa, dove l’unico Pane fa dei molti un solo corpo (cfr 1 Cor 10,17), realizzando la preghiera della comunità cristiana delle ori-gini riportata nel libro della Didaché: ‘Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa dai confini della terra venga radunata nel tuo Regno’ (IX, 4).
L’Eucaristia sostiene e trasforma l’intera vita quotidiana.

Come ricordavo nella mia prima Enciclica, ‘nella comunione euca-ristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri’, per cui ‘un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata’ (Deus caritas est, 14)”.

“La bimillenaria storia della Chiesa – ha continuato Benedetto XVI - è costellata di santi e sante, la cui esistenza è segno eloquente di come proprio dalla comunione con il Signore, dall’Eucaristia, nasca una nuova e intensa assunzione di responsabilità a tutti i livelli della vita comunitaria, nasca quindi uno sviluppo sociale positivo, che ha al centro la persona, specie quella povera, malata o disagiata.
Nutrirsi di Cristo è la via per non restare estranei o indifferenti alle sorti dei fratelli (e qui il riferimento alla lavanda dei piedi di cui si diceva è molto forte), ma entrare nella stessa logica di amore e di dono del sacrificio della Croce; chi sa inginocchiarsi davanti all’Eucaristia, chi riceve il corpo del Signore non può non essere at-tento nella trama ordinaria dei giorni, alle situazioni indegne dell’uomo, e sa piegarsi in prima persona sul bisognoso, sa spezzare il proprio pane con l’affamato, condividere l’acqua con l’assetato, rivestire chi è nudo, visitare l’ammalato e il carcerato (cfr Mt 25,34-36). In ogni persona – ha concluso Benedetto XVI - saprà vedere quello stesso Signore che non ha esitato a dare tutto se stesso per noi e per la nostra salvezza.”

Dal messaggio conclusivo dal titolo “Signore da chi andremo?” mi piace estrapolare la conclusione:
“Certo, anche da questo Congresso Eucaristico ritorneremo a ca-sa: non è stata una parentesi o una distrazione, ma una sosta prezio-sa per metterci di fronte al Mistero da cui la Chiesa è generata, e ri-tornare senza indugio alla nostra missione di testimoni del grande ‘Sì’, che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e intelligenza.
Ritorneremo nelle nostre famiglie e parrocchie, associazioni e movimenti, come testimoni di speranza negli ambiti della vita quotidiana.
Ritorneremo nelle nostre Chiese particolari, in comunione con i nostri Pastori, pronti a dare testimonianza della pluralità e ricchezza delle diverse realtà ecclesiali, e insieme dell’unità che le mette in cammino con Colui che il Signore ha chiamato a presiedere la carità di tutti, come successore dell’apostolo Pietro.
Ritorneremo da questa città, o Maria, sulla quale tu vegli Regina dei Santi, giorno e notte, la città che ha eretto sul monte la Cattedra-le, il suo vanto e il suo cuore.
Ritorneremo alle nostre città affidando alla tua intercessione il cammino del decennio per educare alla vita buona del Vangelo que-sta nostra generazione, perché, anche se indaffarata e immemore, di Cristo vuole essere e vivere.”

E con il Papa è importante sottolineare anche il pensiero del ve-scovo di Ancona, Mons. Menichelli, che ha spiegato che “il Congresso vuole accogliere il grido e lo smarrimento della società contemporanea, l'inquietudine, la solitudine della nostra affaticata generazione e offrire - testimoniandolo - Cristo come via verità e vi-ta".
“Vorremmo anche - ha aggiunto - che il Congresso Eucaristico Na-zionale fosse porta aperta per ogni uomo e donna di buona volontà, che, seppur lontani dal mistero di Dio, debbono sapere che Dio li ama e li convoca al Suo banchetto d'amore: Dio, svelatosi in Cristo non è il Dio della paura, ma della misericordia.”

Altrettanto significativo è il luogo scelto per celebrare l’evento: il piazzale della Fincantieri, azienda che è in profonda crisi.
La Chiesa vuole stare lì vicino alla sofferenza e al disagio di tante famiglie in difficoltà. Infatti una delle intenzioni di preghiera è stata questa: “Per noi che partecipiamo a questa Eucaristia con lo sguardo rivolto al Congresso Eucaristico, perché la tua viva presenza ci rafforzi nella solidarietà verso il mondo del lavoro, con particolare attenzione all'attuale disagio della Fincantieri di Ancona e di tutte le aziende colpite dalla crisi economica”.

 
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