Gesù Luce del mondo

In ginocchio davanti alla Maestà di Dio, Giovanni Paolo II

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Mary Lourdes
view post Posted on 7/3/2011, 14:44




n ginocchio dinanzi alla maestà di Dio il Santo Padre era stato sempre, cominciando dall’infanzia sino all’ultimo istante della sua vita. Essere in ginocchio davanti a Dio significa avere una viva coscienza della Sua infinita grandezza, ed insieme della Sua vicinanza all’uomo. Dalla coscienza di questa realtà e da un cuore che ama nasce il bisogno della preghiera, dell’umile colloquio col Signore. Subito va aggiunto che con Dio egli parlava non soltanto in ginocchio, ma spesso anche prostrato per terra (vedi: Kalendarium, p. 160).


A). L’amore per la preghiera egli l’aveva portato dalla casa paterna e l’aveva appreso da suo padre, la cui vita dopo la morte prematura della consorte, “divenne … ancor più una vita di costante preghiera”. Quando il figlio si svegliava di notte, vedeva il padre in ginocchio, così come in ginocchio lo vedeva sempre nella chiesa parrocchiale (cfr. Giovanni Paolo II, Dono e mistero, Libreria editrice Vaticana, 1996, p. 30). Secondo la testimonianza di uno dei suoi compagni di scuola, “dopo aver studiato ogni materia, Karol aveva l’abitudine di andare in un’altra camera e dopo alcuni minuti tornava. Una volta la porta rimase socchiusa e notai, che Karol stava pregando su un inginocchiatoio” (cfr. Kalendarium, p. 34).


Un’intensa e profonda vita di preghiera comprendeva diverse forme di colloquio con Dio: dalla semplicissima preghiera del bambino fino alla preghiera delle ore del sacerdote, fino la contemplazione. A Cracovia o in Vaticano era fedele alle pratiche di pietà come: la meditazione quotidiana, l’adorazione del Santissimo Sacramento, il rosario, l’Angelus, le litanie al Sacratissimo Cuore di Gesù, alla Madonna e ai Santi. Non le abbreviava mai, né le recitava in fretta, dando alla preghiera la precedenza davanti alle altre occupazioni. Da Papa confessò di non aver mai tralasciato la preghiera del breviario.


Gli erano rimaste profondamente scolpite nel cuore le parole di Sant’Anselmo: “Vi nutro di ciò di cui io stesso vivo”. Come sacerdote aveva la coscienza che il “ministero della parola consiste nel manifestare ciò che prima è stato preparato nella preghiera”, che le “verità annunziate devono essere scoperte e fatte proprie nell’intimità della preghiera e della meditazione” (Nel XXX anniversario del decreto Presbyterorum Ordinis, 27.10.1995).

B). Essere inginocchiati davanti a Dio è soprattutto essere in ginocchio davanti a Gesù Cristo Eucaristico, perciò per il Servo di Dio, la Santa Messa era l’azione più importante e più sacra, costituiva il centro della sua vita e di ogni giorno. Confessava che da sacerdote non aveva mai tralasciato la celebrazione del Santissimo Sacrificio. Si preparava alla Santa Messa con la meditazione, e al termine di essa rimaneva a lungo in ringraziamento. I chierici-cerimonieri conservano fino ad oggi il ricordo del raccoglimento con cui recitava le preghiere prima e dopo la Santa Messa pontificale nella Cattedrale di Wawel.


Il suo amore per l’Eucaristia si esprimeva anche nel rimanere ai piedi di Gesù presente nel Santissimo Sacramento. Riteneva una grande fortuna il fatto che nella casa del vescovo ci fosse la cappella, il poter abitare e lavorare nel raggio della presenza eucaristica di Cristo. Era tuttavia consapevole che la vicinanza di questa cappella era allo stesso tempo un grande impegno “affinché nella vita del vescovo tutto – la predicazione, le decisioni – la pastorale – abbia inizio ai piedi di Cristo, nascosto nel Santissimo Sacramento”. In considerazione di questo “tutto”, nella cappella egli non soltanto pregava, ma scriveva anche libri, tra l’altro lo studio intitolato Persona e atto. Fino ad oggi vi è stato conservato “l’inginocchiatoio-scrivania”, dove il Servo di Dio preparava le lettere pastorali ed altri importanti testi teologici. Quando, a motivo delle occupazioni, non gli era fisicamente possibile recarsi in cappella, spiritualmente entrava «nello spazio del Santissimo Sacramento» (Giovanni Paolo II, Alzatevi, Andiamo, Mondadori, Milano 2004, p. 112-113).


Nel Sacramento dell’Eucaristia, Gesù Cristo, Redentore dell’uomo ha reso presente il suo Sacrificio salvifico, da lui offerto sull’altare della croce. Per questo nella vita del Cardinale la pietà eucaristica si unì quasi in modo organico con l’amore per Gesù crocifisso. Volentieri si recava nella chiesa dei francescani, per fare la Via Crucis davanti alle stazioni dipinte da Józef Mehoffer. Meditava i misteri della sofferenza di Gesù e della sua Madre sulle «stradette» del santuario di Kalwaria Zebrzydowska, e il Venerdì Santo si univa alla preghiera dei pellegrini pronunciando la predica sulla Passione sul Monte della crocifissione. Gli studenti-chierici si edificavano vedendo il loro professore che, durante gli intervalli, si inginocchiava per terra nel corridoio del seminario davanti alle stazioni della Via Crucis. Durante la Quaresima si univa a Cristo sofferente cantando nella sua cappella – vescovile e dopo in quella papale – i canti della passione e le Lamentazioni sulla Passione di Gesù Cristo.

C). Essere in ginocchio davanti a Dio è anche essere in ginocchio davanti allo Spirito Santo. L’Arcivescovo di Cracovia sapeva che come sacerdote era chiamato “ad essere uomo della parola di Dio” e che “l’uomo di oggi si aspetta … prima della parola «annunciata», la parola «vissuta». Volendo “vivere della parola”, occorre approfondire la conoscenza di questa, e tale sforzo ha bisogno “di essere costantemente affiancato dalla preghiera, dalla meditazione, dall’implorazione dei doni dello Spirito Santo”. Il Servo di Dio confessava che per questi doni aveva pregato sin dalla giovinezza e che era rimasto fedele a tale preghiera (cfr. Giovanni Paolo II, Dono e mistero, Libreria Editrice Vaticana 1996, p. 102-103.



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