Gesù Luce del mondo

Cristo Re dell'universo

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view post Posted on 21/11/2010, 11:14

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Martirologio Romano: Solennità di nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo: a Lui solo il potere, la gloria e la maestà negli infiniti secoli dei secoli.
Questa festa fu introdotta da papa Pio XI, con l’enciclica “Quas primas” dell’11 dicembre 1925, a coronamento del Giubileo che si celebrava in quell’anno.
È poco noto e, forse, un po’ dimenticato. Non appena elevato al soglio pontificio, nel 1922, Pio XI condannò in primo luogo esplicitamente il liberalismo “cattolico” nella sua enciclica “Ubi arcano Dei”. Egli comprese, però, che una disapprovazione in un’enciclica non sarebbe valsa a molto, visto che il popolo cristiano non leggeva i messaggi papali. Quel saggio pontefice pensò allora che il miglior modo di istruirlo fosse quello di utilizzare la liturgia. Di qui l’origine della “Quas primas”, nella quale egli dimostrava che la regalità di Cristo implicava (ed implica) necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto in loro potere per tendere verso l’ideale dello Stato cattolico: “Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici”. Dichiarava, quindi, di istituire la festa di Cristo Re, spiegando la sua intenzione di opporre così “un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l'umana società. La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi”.
Tale festività coincide con l’ultima domenica dell’anno liturgico, con ciò indicandosi che Cristo Redentore è Signore della storia e del tempo, a cui tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Egli è l’Alfa e l’Omega, come canta l’Apocalisse (Ap 21, 6). Gesù stesso, dinanzi a Pilato, ha affermato categoricamente la sua regalità. Alla domanda di Pilato: “Allora tu sei re?”, il Divino Redentore rispose: “Tu lo dici, io sono re” (Gv 18, 37).
Pio XI insegnava che Cristo è veramente Re. Egli solo, infatti, Dio e uomo – scriveva il successore Pio XII, nell’enciclica “Ad caeli Reginam” dell’11 ottobre 1954 – “in senso pieno, proprio e assoluto, … è re”.
Il suo regno, spiegava ancora Pio XI, “principalmente spirituale e (che) attiene alle cose spirituali”, è contrapposto unicamente a quello di Satana e delle potenze delle tenebre. Il Regno di cui parla Gesù nel Vangelo non è, dunque, di questo mondo, cioè, non ha la sua provenienza nel mondo degli uomini, ma in Dio solo; Cristo ha in mente un regno imposto non con la forza delle armi (non a caso dice a Pilato che se il suo Regno fosse una realtà mondana la sua gente “avrebbe combattuto perché non fosse consegnato ai giudei”), ma tramite la forza della Verità e dell'Amore.
Gli uomini vi entrano, preparandosi con la penitenza, per la fede e per il battesimo, il quale produce un’autentica rigenerazione interiore. Ai suoi sudditi questo Re richiede, prosegue Pio XI, “non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce”.
Tale Regno, peraltro, già mistericamente presente, troverà pieno compimento alla fine dei tempi, alla seconda venuta di Cristo, quando, quale Sommo Giudice e Re, verrà a giudicare i vivi ed i morti, separando, come il pastore, “le pecore dai capri” (Mt 25, 31 ss.). Si tratta di una realtà rivelata da Dio e da sempre professata dalla Chiesa e, da ultimo, dal Concilio Vaticano II, il quale insegnava a tal riguardo che “qui sulla terra il Regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione” (costituzione “Gaudium et spes”).
Con la sua seconda venuta, Cristo ricapitolerà tutte le cose, facendo “cieli nuovi e terra nuova” (Ap 21, 1), tergendo e consolando ogni lacrima di dolore e bandendo per sempre il peccato, la morte ed ogni ingiustizia dalla faccia della terra. Sempre il Concilio scriveva che “in questo regno anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio” (costituzione dogmatica “Lumen Gentium”).
Per questo i cristiani di ogni tempo invocano, già con la preghiera del Padre nostro, la venuta del Suo Regno (“Venga il tuo Regno”) ed, in modo particolare durante l’Avvento, cantano nella liturgia “Maranà tha”, cioè “Vieni Signore”, per esprimere così l’attesa impaziente della parusia (cfr. 1 Cor 16, 22).
Aggiunge ancora Pio XI che nondimeno sbaglierebbe colui il quale negasse al Cristo-uomo il potere su tutte le cose temporali, “dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create”. Tuttavia – precisa – Cristo, quando era sulla terra, si astenne dall’esercitare completamente questo suo dominio, permettendo – come anche oggi – che “i possessori debitamente se ne servano”.
Questo potere abbraccia tutti gli uomini. Ciò lo aveva anche chiaramente espresso Leone XIII, nell’enciclica “Annum sacrum” del 25 maggio 1899, con cui preparava la consacrazione dell’umanità al Sacratissimo Cuore di Gesù nell’anno santo del 1900. Papa Pecci aveva scritto in effetti che “il dominio di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni li allontanino da essa o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo”.
L’uomo, misconoscendo la regalità di Cristo nella storia e rifiutando di sottomettersi a questo suo giogo che è “dolce” ed a questo carico “leggero”, non potrà trovare alcuna salvezza né troverà autentica pace, rimanendo vittima delle sue passioni, inimicizie ed inquietudini. È Cristo soltanto la “fonte della salute privata e pubblica”, diceva Pio XI. “Né in alcun altro vi salvezza, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale dobbiamo essere salvati” (At 4, 12).
Lontano da Lui l’uomo ha dinanzi chimere e sistemi ideologici totalizzanti e fuorvianti; non cercando il suo Regno e la sua Giustizia, il genere umano ha di fronte a sé i vari “-ismi” della storia che, diabolicamente, in nome di un falso progresso sociale, economico e culturale, degradano ogni uomo, negandone la dignità.
Ed il XX secolo non ha mancato di fornirne dei tragici esempi con i vari regimi autoritari, comunisti e nazista (che la Chiesa ha condannato vigorosamente), riproponendo, per l’ennesima volta, il duro scontro tra Regno di Cristo e regno di Satana, che durerà sino alla fine dei tempi.
Basti qui far riferimento, a titolo esemplificativo, giusto al solo travagliato periodo del pontificato di papa Ratti per averne una pallida idea.
Con l’enciclica “Mit brennender Sorge”, del 14 marzo 1937 – tra i cui estensori vi era pure il cardinale segretario di Stato e futuro papa Pio XII, Eugenio Pacelli – il Pontefice romano disapprovava il provocante neopaganesimo imperante in Germania (il nazismo), il quale rinnegava la Sapienza Divina e la sua Provvidenza, che “con forza e dolcezza domina da un'estremità all’altra del mondo” (Sap. 8, 1), e tutto dirige a buon fine; deplorava anche certi banditori moderni che perseguono il falso mito della razza e del sangue; biasimava, infine, le liturgie del Terzo Reich tedesco, veri riti paganeggianti, qualificate come “false monete”.
In Messico, “totalmente infeudato dalla massoneria”, dove gli Stati Uniti avevano favorito – in nome dei loro interessi economici – la nascita di uno Stato dichiaratamente anticlericale ed anticristiano, furono promulgate pesanti leggi restrittive della libertà della Chiesa cattolica, stabilendo l’espulsione dei sacerdoti non sposati, la distruzione delle chiese e la soppressione persino della parola “adios”. Il fanatico anticlericale governatore dello Stato messicano di Tabasco, Tomás Garrido Canabal, autore di queste misure repressive, nella sua fattoria, “La Florida”, giunse a chiamare, in segno di dispregio, un toro “Dio”, ad un asino diede nome “Cristo”, una mucca “Vergine di Guadalupe”, un bue ed un maiale “Papa”. Suo figlio lo chiamò “Lenin” e sua figlia “Zoila Libertad”. Un nipote fu chiamato “Luzbel” [Lucifer], un altro figlio “Satan”.
Si costituì allora un esercito di popolo, i “cristeros”, i quali combattevano al grido di “Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe! Viva il Messico!”. Con le stesse parole sulle labbra versavano il loro sangue in quella terra anche numerose schiere di martiri, mentre i loro carnefici esclamavano, riempiendo ceste di vimini con le teste mozzate dei cattolici, “Viva Satana nostro padre”. Si trattò di un vero “olocausto” passato sotto silenzio ed ignorato. Alcuni dei valorosi martiri cristiani messicani, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, hanno raggiunto la gloria degli altari, come il gesuita Miguel Agustin Pro, fucilato senza processo. Le sue ultime parole furono giusto “Viva Cristo Re!”.
Questa grave situazione di persecuzione religiosa fu riprovata da Pio XI con le encicliche “Nos Es Muy Conocida” del 28 Marzo 1937 ed “Iniquis Afflictisque” del 18 novembre 1926.
Una netta opposizione fu, infine, manifestata nei confronti della Russia sovietica, contro il comunismo ateo, condannato dall'enciclica “Divini Redemptoris” del 19 marzo 1937, e nei riguardi della Spagna repubblicana, dichiaratamente antireligiosa.
Qui, il governo repubblicano socialista di Manuel Azaña Y Díaz proclamò che “da oggi la Spagna non è più cristiana”, mirando a “laicizzare” lo Stato. La nuova costituzione vanificava ogni potere della Chiesa, la religione cattolica era ridotta al rango d’associazione, senza sostegno finanziario da parte statale, senza scuole, esposta agli espropri; con il decreto 24 gennaio 1932 era dichiarata l’estinzione della compagnia di Gesù e se ne confiscavano i beni; era introdotto, nel 1932, il divorzio e il matrimonio civile ed abolito il reato di bestemmia; circa seimila religiosi furono massacrati. Pio XI reagì duramente con l’enciclica “Dilectissima Nobis” del 3 giugno 1933.
Questi esempi dimostrano lo scontro plurisecolare, sin dalla fondazione del Cristianesimo, tra il Regno di Cristo e quello di Satana, e come, anche in epoca contemporanea, la regalità di Cristo sia contestata, preferendo ad essa degli “idoli” politici, economici, sociali e pseudo-religiosi.

Autore: Francesco Patruno



Edited by onegirl - 25/11/2012, 13:25
 
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view post Posted on 25/11/2012, 13:27

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Nesso tra le letture

"Gesù Cristo è il Signore ed il Re dell'Universo". Questa domenica, ultima del ciclo liturgico, offre alla nostra riflessione l'icona di Cristo Re e Signore della storia e del tempo. La prima lettura, tratta dal libro del profeta Ezechièle, mette in rilievo che il Signore in persona cerca le sue pecore, ne segue le tracce, le pascola, ne benda le ferite e cura quelle malate. Il Signore in persona va a giudicare tra pecora e pecora (prima lettura). Allo stesso modo, il salmo 22 sottolinea l'amore e la misericordia del Signore, pastore delle nostre anime e guida sulle nostre strade.

Nella lettera ai Corinzi, invece, san Paolo sottolinea il potere di Cristo che annichilirà ogni principato, ogni potere e ogni forza. "Cristo deve regnare, e tutti i suoi nemici giaceranno ai suoi piedi. L'ultimo nemico sarà la morte" (seconda lettura). Infine il vangelo ci presenta la venuta definitiva del Figlio dell'Uomo, che viene per separare gli uni dagli altri, come un pastore separa i montoni dai capri. Il criterio che il Signore seguirà, in questo giorno terribile, nel suo giudizio sarà quello dell'amore: "perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere... Coloro che avranno praticato l'amore per Cristo e i propri simili andranno alla vita eterna; gli altri, alla punizione eterna" (Vangelo). Sì, alla fine, saremo giudicati sull'"amore".

Messaggio dottrinale

Cristo, pastore che cerca le sue pecore. Il profeta Ezechiele ci offre uno dei testi più belli dell'Antico Testamento. In esso viene ripetuto fino a tre volte che il "Signore stesso" è colui che si preoccupa delle sue pecore: le ricerca se si perdono, le cura se sono ferite, offre loro foraggio abbondante, se soffrono la fame. I cattivi pastori, gli uomini, hanno mancato al proprio dovere, hanno lasciato che le pecore si perdessero, si sono approfittati di esse; perciò, il profeta annuncia che sarà Dio stesso a prendersi cura del suo gregge. È sottolineata, senza dubbio, l'attenzione e l'interesse di Dio per le sue pecore, ma al contempo si afferma che Egli giudica tra pecora e pecora. Dio è giusto ed esercita questa giustizia con amore.

Il salmo 22 prende nuovamente l'immagine del pastore per applicarla al Signore. Quanta fiducia dà all'uomo sapere che "Dio stesso" è il suo pastore, che "Dio stesso" lo guida, rigenera le sue forze, lo accompagna sul giusto cammino. Questo buon pastore sarà, alla fine dell'esistenza, colui che giudicherà le nostre vite. È vero, il Signore Nostro Gesù Cristo, che si è incarnato ed è venuto sulla terra, come il buon pastore che cerca le sue pecore disperse, desidera che stiano tutte nell'ovile, desidera che tutte facciano parte del suo gregge. Non permette che ne sia rubata nessuna.

Questo è ciò che Hans Urs von Balthasar chiamava la "provocazione di Gesù", cioè quel desiderio di riunire tutte le pecore nel proprio gregge. In questo senso la provocazione di Gesù è molto più che una semplice chiamata. Provocare è motivare, è invitare, è muovere all'azione, è raccogliere e separare. Il pastore, alla fine del testo di Ezechiele, separa pecora da pecora. Si tratta, dunque, di una chiamata urgente a decidersi a favore o contro Gesù.

Non c'è posto per risposte di compromesso. Chi non sta con Gesù, sarà contro di lui. Molti, tristemente, diventano sordi davanti agli inviti dell'amore divino; molti non desiderano condividere il "calice" della salvezza, né far parte del gregge di Cristo. Come ambasciatori dell'unico Pastore, sta a noi annunciare senza posa l'amore di Dio. Sta a noi mostrare agli uomini la bellezza e la profondità dell'amore di Dio, per richiamarli tutti a questo gregge, e aiutarli a trovare la felicità eterna.

Cristo re che vince i suoi nemici. Quanto più chiaramente il Regno di Cristo si offre come "luce del mondo", come "luce sul monte", "come lievito nella massa", tanto più appare la forza del nemico di Dio che desidera contrastare il bene e l'amore. Così, nella lettera ai Corinzi, Paolo parla di tutti i principati e le potestà che si oppongono al Regno di Dio. "Tutti i nemici finiranno sotto i suoi piedi", perché alla fine dei tempi si compierà ogni giustizia.

Alla fine, il male sarà definitivamente sconfitto dal bene e dall'amore; ma ricordiamo che il trionfo del Regno di Cristo non avrà luogo senza l'ultimo assalto delle forze del male. Il nemico di Dio, il diavolo, subirà l'ultima sconfitta di fronte a Cristo resuscitato, Signore dei vivi e dei morti. Come dovrebbero incidere sulle nostre vite queste verità tanto fondamentali e decisive! Cristo deve regnare. Cristo regnerà e vincerà l'ultimo nemico, la morte. Il mysterium iniquitatis sarà definitivamente vinto dal mysterium trinitatis.

Cristo giudice che giudica gli uomini. Questo Cristo che verrà alla fine dei tempi ci giudicherà in base all'amore. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 678, dice:

"In linea con i profeti (cf. Dn 7, 10; Gl 3, 4; Ml 3,19) e con Giovanni Battista, (cf. Mt 3, 7-12) Gesù ha annunciato nella sua predicazione il giudizio dell'ultimo giorno. Allora saranno messi in luce la condotta di ciascuno (cf. Mc 12, 38-40), e il segreto dei cuori (cf. Lc 12, 1-3; Gv 3, 20-21; Rm 2, 16; 1 Co 4, 5). Allora verrà condannata l'incredulità colpevole che non ha tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio (cf Mt 11, 20-24; 12, 41-42). L'atteggiamento verso il prossimo rivelerà l'accoglienza o il rifiuto della grazia e dell'amore divino (cf. Mt 5, 22; 7, 1-5). Gesù dirà nell'ultimo giorno: "Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40)".

Conviene, dunque, prepararci adeguatamente, praticando il bene e l'amore. Un giorno verrà alla luce il segreto dei cuori. Lavoriamo oggi, affinché il nostro cuore sia pieno di Dio e del suo amore.

Suggerimenti pastorali

La pratica della carità attiva. Dato che la carità sarà il criterio del giudizio, dobbiamo far tutto ciò che è nelle nostre mani per mettere in opera l'insegnamento della parabola di Gesù. Cioè serviamo oggi l'affamato, diamo da bere all'assetato, vestiamo l'ignudo, visitiamo il malato e il prigioniero... in una parola, pratichiamo il comandamento dell'amore! In realtà, è necessario fare un serio esame di coscienza e domandarsi: "la mia vita risponde al comandamento di Cristo di amare i miei fratelli?

Mi interessa davvero il bene spirituale e materiale dei miei fratelli? Mi preoccupo di far qualcosa in favore degli altri? Si tratta, dunque, di risvegliare il senso di responsabilità di fronte alle necessità altrui. Il grave peccato che potremmo commettere sarebbe quello di omissione: avremmo potuto dar da mangiare a colui che aveva fame, e non lo abbiamo fatto; avremmo potuto dar da bere all'assetato, e non lo abbiamo fatto. La nostra vita è stata costruita da una serie innumerevole di piccole omissioni. Nel nostro cuore è morto l'amore, e "alla fine, saremo giudicati proprio in base all'amore".

Vincere il male col bene. Il male appare nell'orizzonte della nostra vita. Vediamo che nelle relazioni internazionali, nella vita dei popoli, nella vita familiare e nel nostro proprio cuore, si insinua e si presenta il male. Davanti a questa drammatica situazione bisogna rispondere col bene.

Davanti alla mormorazione, dobbiamo rispondere con la benedicenza; davanti alla calunnia e all'ingiuria col perdono; davanti alla violenza e all'ingiustizia, con la carità, il perdono e la giustizia. Non si può combattere il male col male, perché sarebbe una contraddizione. Il male va contrastato col bene, con l'amore. Questa è la strada che Cristo ci ha indicato. Così Cristo rispose ai suoi persecutori. Quando il male sembrava circondarlo da ogni lato, il suo amore e la sua dignità, la sua obbedienza filiale al Padre, il suo amore per gli uomini vinsero sulle potenze del male e della morte.

 
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