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view post Posted: 19/5/2013, 08:55 Omelia di Papa Francesco in occasione della Canonizzazione dei Beati Antonio Primaldo e Compagni - Santo Padre Francesco - Jorge Mario Bergoglio

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Omelia di Papa Francesco in occasione della S. Messa di Canonizzazione dei Beati Antonio Primaldo e Compagni, Laura di Santa Caterina da Siena e Maria Guadalupe Garcia Zavala

Piazza San Pietro
VII Domenica di Pasqua, 12 maggio 2013‏


Cari fratelli e sorelle!

In questa settima Domenica del Tempo di Pasqua ci siamo radunati con gioia per celebrare una festa della santità. Rendiamo grazie a Dio che ha fatto risplendere la sua gloria, la gloria dell’Amore, sui Martiri di Otranto, su Madre Laura Montoya e su Madre María Guadalupe García Zavala. Saluto tutti voi che siete venuti per questa festa – dall’Italia, dalla Colombia, dal Messico, da altri Paesi – e vi ringrazio!

Vogliamo guardare ai nuovi Santi alla luce della Parola di Dio proclamata. Una Parola che ci ha invitato alla fedeltà a Cristo, anche fino al martirio; ci ha richiamato l’urgenza e la bellezza di portare Cristo e il suo Vangelo a tutti; e ci ha parlato della testimonianza della carità, senza la quale anche il martirio e la missione perdono il loro sapore cristiano.

Gli Atti degli Apostoli, quando ci parlano del diacono Stefano, il protomartire, insistono nel dire che egli era un uomo “pieno di Spirito Santo” (6,5; 7,55). Che significa questo? Significa che era pieno dell’Amore di Dio, che tutta la sua persona, la sua vita era animata dallo Spirito di Cristo risorto, tanto da seguire Gesù con fedeltà totale, fino al dono di sé.

Oggi la Chiesa propone alla nostra venerazione una schiera di martiri, che furono chiamati insieme alla suprema testimonianza del Vangelo, nel 1480. Circa ottocento persone, sopravvissute all’assedio e all’invasione di Otranto, furono decapitate nei pressi di quella città. Si rifiutarono di rinnegare la propria fede e morirono confessando Cristo risorto. Dove trovarono la forza per rimanere fedeli? Proprio nella fede, che fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano, oltre il confine della vita terrena, fa contemplare «i cieli aperti» - come dice santo Stefano – e il Cristo vivo alla destra del Padre. Cari amici, conserviamo la fede che abbiamo ricevuto e che è il nostro vero tesoro, rinnoviamo la nostra fedeltà al Signore, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni; Dio non ci farà mai mancare forza e serenità.

Mentre veneriamo i Martiri di Otranto, chiediamo a Dio di sostenere tanti cristiani che, proprio in questi tempi e in tante parti del mondo, adesso, ancora soffrono violenze, e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene.

Il secondo pensiero lo possiamo ricavare dalle parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel Vangelo: «Prego per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (Gv 17,20). Santa Laura Montoya è stata strumento di evangelizzazione prima come insegnante e poi come madre spirituale degli indigeni, ai quali infuse speranza, accogliendoli con l’amore appreso da Dio e portandoli a Lui con una efficacia pedagogica che rispettava la loro cultura e non si contrapponeva ad essa. Nella sua opera di evangelizzazione Madre Laura si fece veramente tutta a tutti, secondo l’espressione di san Paolo (cfr 1Cor 9,22). Anche oggi le sue figlie spirituali vivono e portano il Vangelo nei luoghi più reconditi e bisognosi, come una sorta di avanguardia della Chiesa.

Questa prima santa nata nella bella terra colombiana ci insegna ad essere generosi con Dio, a non vivere la fede da soli - come se fosse possibile vivere la fede in modo isolato -, ma a comunicarla, a portare la gioia del Vangelo con la parola e la testimonianza di vita in ogni ambiente in cui ci troviamo. In qualsiasi luogo in cui viviamo, irradiare questa vita del Vangelo! Ci insegna a vedere il volto di Gesù riflesso nell’altro, a vincere indifferenza e individualismo, che corrodono le comunità cristiane e corrodono il nostro cuore, e ci insegna ad accogliere tutti senza pregiudizi, senza discriminazioni, senza reticenze, con amore sincero, donando loro il meglio di noi stessi e soprattutto condividendo con loro ciò che abbiamo di più prezioso, che non sono le nostre opere o le nostre organizzazioni, no! Quello che abbiamo di più prezioso è Cristo e il suo Vangelo.

Infine, un terzo pensiero. Nel Vangelo di oggi, Gesù prega il Padre con queste parole: «Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26). La fedeltà dei martiri fino alla morte e la proclamazione del Vangelo a tutti si radicano, hanno la loro radice nell’amore di Dio effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr Rm 5,5), e nella testimonianza che dobbiamo dare di questo amore nella nostra vita quotidiana. Santa María Guadalupe García Zavala lo sapeva bene. Rinunciando a una vita comoda – quanto danno arreca la vita comoda, il benessere; l’”imborghesimento” del cuore ci paralizza –, rinunciando a una vita comoda per seguire la chiamata di Gesù, insegnava ad amare la povertà, per poter amare di più i poveri e gli infermi. Madre Lupita si inginocchiava sul pavimento dell’Ospedale davanti agli ammalati e agli abbandonati per servirli con tenerezza e compassione. E questo si chiama: “toccare la carne di Cristo”. I poveri, gli abbandonati, gli infermi, gli emarginati sono la carne di Cristo. E Madre Lupita toccava la carne di Cristo e ci ha insegnato questo modo di agire: non vergognarsi, non avere paura, non provare ripugnanza a “toccare la carne di Cristo”! Madre Lupita aveva capito che cosa significa questo “toccare la carne di Cristo”. Anche oggi le sue figlie spirituali cercano di riflettere l’amore di Dio nelle opere di carità, senza risparmiare sacrifici e affrontando con mitezza, con perseveranza apostolica (hypomonē), sopportando con coraggio qualunque ostacolo.

Questa nuova Santa messicana ci invita ad amare come Gesù ci ha amato, e questo comporta non chiudersi in se stessi, nei propri problemi, nelle proprie idee, nei propri interessi, in questo piccolo mondo che ci arreca tanto danno, ma uscire e andare incontro a chi ha bisogno di attenzione, di comprensione, di aiuto, per portagli la calorosa vicinanza dell’amore di Dio, attraverso gesti di delicatezza, di affetto sincero e di amore.

Fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, per annunciarlo con la parola e con la vita, testimoniando l’amore di Dio con il nostro amore, con la nostra carità verso tutti: sono luminosi esempi ed insegnamenti che ci offrono i Santi proclamati oggi, ma che suscitano anche domande alla nostra vita cristiana: Come io sono fedele a Cristo? Portiamo con noi questa domanda, per pensarla durante la giornata: come io sono fedele a Cristo? Sono capace di “far vedere” la mia fede con rispetto, ma anche con coraggio? Sono attento agli altri, mi accorgo di chi è nel bisogno, vedo in tutti fratelli e sorelle da amare? Chiediamo, per intercessione della Beata Vergine Maria e dei nuovi Santi, che il Signore riempia la nostra vita con la gioia del suo amore. Così sia.

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view post Posted: 19/5/2013, 08:52 I primi santi di Papa Francesco‏ - La Santa Sede, Il Mondo Cattolico

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11 Maggio 2013

I numeri della prima canonizzazione di Papa Francesco sono già un piccolo record. Domenica 12 maggio, in piazza San Pietro, in un’unica celebrazione il Pontefice eleva agli onori degli altari ben 802 santi. Di questi, 800 sono martiri, caduti a Otranto durante l’assedio dei turchi nel 1480. Le altre due sono suore fondatrici di congregazioni religiose: Laura Montoya y Upegui — la prima santa della Colombia che viene canonizzata dal primo Papa latinoamericano della storia — e la messicana María Guadalupe García Zabala. Ne abbiamo parlato in questa intervista al nostro giornale con il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
C’è un filo comune che unisce queste canonizzazioni?

Innanzitutto, bisogna dire che questi 800 martiri hanno salvato l’Italia nella sua identità cattolica e cristiana. Va sottolineato che le due suore sono latinoamericane. Per una manifestazione della divina Provvidenza, saranno canonizzate da Papa Francesco, primo Pontefice latinoamericano. È un ulteriore segno di incoraggiamento alla Chiesa di quel continente, chiamata a eccellere nella testimonianza cristiana e nell’espansione del regno di Dio su tutta la terra.

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:50 Dalle pampas in Vaticano‏ - La Santa Sede, Il Mondo Cattolico

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11 Maggio 2013

Un omaggio a Papa Francesco fatto di foto d’epoca, video, oggetti di uso comune o di grande pregio artistico che documentano la fede e la cultura del popolo delle pampas; la mostra «Argentina. Il gaucho. Tradizione arte e fede» sarà inaugurata al Braccio di Carlo Magno in Vaticano il 17 maggio e resterà aperta fino al 16 giugno: in pagina pubblichiamo stralci di uno dei testi del curatore della mostra tratto dal catalogo (Buenos Aires, Platt Grupo Impresor, 2013). L’allestimento, organizzato da Artifex, è il risultato di una selezione di opere appartenenti a collezionisti argentini, molte delle quali lasceranno il Paese per la prima volta. Nella zona meridionale dell’America del Sud, un cavallerizzo leggendario, il gaucho, ha forgiato la sua personalità nelle pampas rioplatensi durante il XVIII secolo. Il gaucho aveva abilità eccezionali e godeva della sua libertà nella pianura infinita. Era solito mangiare arrosto di carne bovina, fumare tabacco e bere mate amaro, ma soltanto tra conoscenti. Lastarría ha osservato sui gauchos che per loro era molto facile macellare una mucca, perché tutti avevano un cavallo, boleadoras, un laccio e un coltello. Lavoravano unicamente per comperare il tabacco che fumavano o la yerba (erba Mate) del Paraguay che bevevano in generale senza zucchero, tutte le volte che potevano durante la giornata.

Dal XVIII secolo, i bovini e i muli divennero un bene strategico, ma con usi diversi: i primi per il consumo umano, i secondi per essere utilizzati nei giacimenti andini e in quelli di pietre preziose brasiliane, dove c’era una notevole necessità. Abile senza paragone nei lavori col bestiame, il gaucho diventò quindi una manodopera imprescindibile. Senza le sue capacità lo sviluppo economico della regione sarebbe stato diverso. Tuttavia, il gaucho è sempre stato emarginato dal sistema economico e sociale: da una parte, a causa del suo disinteresse per il lavoro e la sua recalcitranza verso le regole, dall’altra, come conseguenza dell’ingiusta organizzazione sociale dell’epoca. Le caratteristiche della sua personalità hanno fatto sì che gli abitanti urbani dei territori attuali di Argentina, Uruguay, del sud del Brasile e del Paraguay venissero chiamati gauchos con connotazione offensiva. Molti viaggiatori stranieri hanno però esaltato la cortesia di queste persone, il loro senso dell’ospitalità e, soprattutto, il loro amore per la libertà.

Il suo esotismo ha anche attirato l’attenzione di pittori e disegnatori stranieri e, più tardi, di fotografi, che arrivarono a Río de la Plata, con un certo spirito di avventura, dipingendo paesaggi e persone fino ad allora sconosciuti. I viaggiatori mostrano nei loro documenti di subire il fascino dell’abitante delle pampas: rude ma giusto, barbaro all’apparenza ma rispettoso.

Il gaucho era un cavallerizzo straordinario che conosceva i segreti del “deserto”: un’immensa pianura.

Di fatto, il giudizio di valore sul gaucho era molto contrastato: veniva esaltato o sminuito. Questo incrocio di sguardi sullo stesso personaggio ha fatto scrivere allo scrittore Ezequiel Martínez Estrada: «ognuno ha il suo gaucho».

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:48 Papa Francesco: La vera preghiera ci fa uscire da noi stessi aprendoci ai bisogni degli altri‏ - Santo Padre Francesco - Jorge Mario Bergoglio

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Omelia di Papa Francesco dell'11 Maggio 2013

La vera preghiera ci fa uscire da noi stessi e ci apre al Padre e ai fratelli più bisognosi: lo ha detto stamani Papa Francesco durante la Messa presieduta a Casa Santa Marta. Erano presenti alcuni agenti della Gendarmeria Vaticana e un gruppo di giornalisti argentini con le loro famiglie. L’omelia del Papa si è concentrata sul Vangelo del giorno, laddove Gesù dice: “Se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà”. “C’è qualcosa di nuovo, qui – spiega il Pontefice - qualcosa che cambia: è una novità nella preghiera. Il Padre ci darà tutto, ma sempre nel nome di Gesù”. Il Signore ascende al Padre, entra “nel Santuario del cielo”, apre le porte e le lascia aperte perché “Lui stesso è la porta” e “intercede per noi”, “fino alla fine del mondo”, come un sacerdote:
“Lui prega per noi davanti al Padre. A me è sempre piaciuto, questo. Gesù, nella sua resurrezione, ha avuto un corpo bellissimo: le piaghe della flagellazione, delle spine, sono sparite, tutte. I lividi dei colpi, sono spariti. Ma Lui ha voluto avere sempre le piaghe, e le piaghe sono precisamente la sua preghiera di intercessione al Padre: ‘Ma … guarda … questo Ti chiede nel nome mio, guarda!’. Questa è la novità che Gesù ci dice. Ci dice questa novità: avere fiducia nella sua passione, avere fiducia nella sua vittoria sulla morte, avere fiducia nelle sue piaghe. Lui è il sacerdote e questo è il sacrificio: le sue piaghe. E questo ci da fiducia, eh?, ci da il coraggio di pregare”.
Tante volte ci annoiamo nella preghiera – osserva il Papa, che aggiunge: la preghiera non è chiedere questo o quello, ma è “l’intercessione di Gesù, che davanti al Padre gli fa vedere le sue piaghe”:
“La preghiera verso il Padre in nome di Gesù ci fa uscire da noi stessi; la preghiera che ci annoia è sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene. Ma la vera preghiera è uscire da noi stessi verso il Padre in nome di Gesù, è un esodo da noi stessi”.
Ma come “possiamo riconoscere le piaghe di Gesù in cielo?” – si chiede il Papa – “Dov’è la scuola dove si impara a conoscere le piaghe di Gesù, queste piaghe sacerdotali, di intercessione? C’è un altro esodo da noi stessi verso le piaghe dei nostri fratelli: dei nostri fratelli e delle nostre sorelle bisognosi”:
“Se noi non riusciamo ad uscire da noi stessi verso il fratello bisognoso, verso il malato, l’ignorante, il povero, lo sfruttato, se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù. Ci sono due uscite da noi stessi: una verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera”.
“Questo è il nuovo modo di pregare: – conclude il Papa - con la fiducia, il coraggio che ci dà sapere che Gesù è davanti al Padre facendogli vedere le sue piaghe, ma anche con l’umiltà di quelli che vanno a conoscere, a trovare le piaghe di Gesù nei suoi fratelli bisognosi” che “portano ancora la Croce e ancora non hanno vinto, come ha vinto Gesù”.

Fonte: News.va



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Approfondimento

Le piaghe di Gesù sono ancora presenti sulla terra. Per riconoscerle è necessario uscire da noi stessi e andare incontro ai fratelli bisognosi, ai malati, agli ignoranti, ai poveri, agli sfruttati. È l’«esodo» che Papa Francesco ha indicato ai cristiani nell’omelia della messa celebrata sabato mattina, 11 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.
Si tratta — ha spiegato il Pontefice — di «un uscire da noi stessi» reso possibile dalla preghiera «verso il Padre in nome di Gesù». La preghiera che «ci annoia», invece, è «sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene. Ma la vera preghiera è uscire da noi stessi verso il Padre in nome di Gesù, è un esodo da noi stessi» che si compie «con l’intercessione proprio di Gesù, che davanti al Padre gli fa vedere le sue piaghe».

Ma come riconoscere queste piaghe di Gesù? Come è possibile avere fiducia in queste piaghe se non le si conosce? E qual è «la scuola dove si impara a conoscere le piaghe di Gesù, queste piaghe sacerdotali, di intercessione?». La risposta del Papa è stata esplicita: «Se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù».

Da qui l’immagine delle due «uscite da noi stessi» indicate dal Santo Padre: la prima è «verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera». Parole che trovano conferma nel Vangelo di Giovanni (16, 23-28) della liturgia del giorno. Un brano nel quale Gesù è di una chiarezza disarmante: «In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà». In queste parole — ha notato il Pontefice — c’è una novità nella preghiera: «Nel mio nome». Il Padre dunque «ci darà tutto, ma sempre nel nome di Gesù».

Cosa significa questo chiedere nel nome di Gesù? È una novità che Gesù rivela proprio «nel momento in cui lascia la terra e torna al Padre». Nella solennità dell’Ascensione celebrata giovedì scorso — ha ricordato il Papa — è stato letto un brano della Lettera agli Ebrei, dove si dice tra l’altro: «Poiché abbiamo la libertà di andare al Padre». Si tratta di «una nuova libertà. Le porte sono aperte: Gesù, andando dal Padre, ha lasciato la porta aperta». Non perché «si sia dimenticato di chiuderla», ma perché «lui stesso è la porta». È lui «il nostro intercessore, e per questo dice: “Nel mio nome”». Nella nostra preghiera, caratterizzata da «quel coraggio che ci dà Gesù stesso», chiediamo allora al Padre nel nome di Gesù: «Guarda tuo Figlio e fammi questo!».

Il Santo Padre ha poi richiamato l’immagine di Gesù che «entra nel santuario del Cielo, come un sacerdote. E Gesù, fino alla fine del mondo, è come sacerdote, fa l’intercessione per noi: lui intercede per noi». E quando noi «chiediamo al Padre dicendo “Gesù”, segnaliamo, diciamo, facciamo un riferimento all’intercessore. Lui prega per noi davanti al Padre».

Riferendosi quindi alle piaghe di Gesù, il Pontefice ha notato che Cristo «nella sua risurrezione, ha avuto un corpo bellissimo: le piaghe della flagellazione, delle spine, sono sparite, tutte. I lividi dei colpi, sono spariti». Ma egli, ha aggiunto, «ha voluto avere sempre le piaghe, e le piaghe sono precisamente la sua preghiera di intercessione al Padre». Questa è «la novità che Gesù ci dice», invitandoci ad «avere fiducia nella sua passione, avere fiducia nella sua vittoria sulla morte, avere fiducia nelle sue piaghe». È lui, infatti, il «sacerdote e questo è il sacrificio: le sue piaghe». Tutto ciò ci «dà fiducia, ci dà il coraggio di pregare», perché, come scriveva l’apostolo Pietro, «dalle sue piaghe siete stati guariti».

In conclusione il Santo Padre ha ricordato un altro passo del Vangelo di Giovanni: «Finora non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete ed otterrete, perché la vostra gioia sia piena». Il riferimento — ha spiegato — è alla «gioia di Gesù», alla «gioia che viene». Questo è «il nuovo modo di pregare: con la fiducia», con quel «coraggio che ci fa sapere che Gesù è davanti al Padre» e gli mostra le sue piaghe; ma anche con l’umiltà per riconoscere e trovare le piaghe di Gesù nei suoi fratelli bisognosi. È questa la nostra preghiera nella carità.

«Che il Signore — ha auspicato il Pontefice — ci dia questa libertà di entrare in quel santuario dove Lui è sacerdote e intercede per noi e qualsiasi cosa che chiederemo al Padre nel suo nome, ce la darà. Ma anche ci dia il coraggio di andare in quell’altro “santuario” che sono le piaghe dei nostri fratelli e sorelle bisognosi, che soffrono, che portano ancora la Croce e ancora non hanno vinto, come ha vinto Gesù».

Alla messa hanno partecipato, fra gli altri, Juan Pablo Cafiero, ambasciatore di Argentina presso la Santa Sede, e 23 giornalisti di lingua spagnola, fra i quali don Antonio Pelayo, che ha concelebrato. Era inoltre presente un gruppo di una quarantina di appartenenti al Corpo della Gendarmeria Vaticana.

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:44 Il Papa si è recato nella Clinica Pio XI per visitare il card. Lozano Barragán‏ - Santo Padre Francesco - Jorge Mario Bergoglio

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11 Maggio 2013

Visita a sorpresa stamani del Papa nella Clinica Pio XI a Roma: il Pontefice, dopo le udienze previste questa mattina, è andato a trovare il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente emerito del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, ricoverato per un intervento. Il Papa, che si è fermato a salutare il personale della Clinica, è rimasto molto colpito dalla testimonianza di fede del porporato messicano che il 26 gennaio scorso ha compiuto 80 anni.

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:43 Mons Celli: Chiesa sulle Reti sociali per condividere un cammino, tweet aumentati con Papa Francesco - La Santa Sede, Il Mondo Cattolico

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11 Maggio 2013

Questa domenica si celebra la 47.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali sul tema "Reti sociali: porte di verità e di fede, nuovi spazi di evangelizzazione". Al centro, dunque, lo sviluppo delle reti sociali digitali che, scriveva Benedetto XVI nel messaggio per l’occasione, “stanno contribuendo a far emergere una nuova piazza pubblica in cui le persone condividono idee e dove possono prendere vita nuove forme di comunità”. Una valutazione positiva ma che esige responsabilità, dedizione alla verità e autenticità, ribadisce mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Ma cosa rappresenta per la Chiesa il mondo dei social network e con quali prospettive? La giornalista Gabriella Ceraso ne ha parlato proprio con mons. Celli:
R. – Per la Chiesa credo che sia una sfida ed un’opportunità, nel senso che le reti sociali sono veramente diventate un ambiente di vita ed in questo contesto noi siamo chiamati a far presente il messaggio di Gesù; i discepoli del Signore sono chiamati a dare testimonianza, nella rete dei valori in cui credono, a vivere autenticamente questa presenza e viverla con una certa responsabilità. Questa è la sfida. L’opportunità è che anche coloro che sono lontani, coloro che hanno perduto un rapporto più profondo con il Signore - proprio nella contestualità della rete sociale da loro abitata - possano trovare un’offerta concreta, una presentazione seria, rispettosa, possano incontrare i criteri di vita.
D. – Nel messaggio ci sono alcuni aspetti e lei li ha toccati, per esempio l’importanza stando in rete, di sfuggire a tutto ciò che è sensazionalismo, tutto ciò che è sete di popolarità…
R. – Direi che questo è l’atteggiamento della Chiesa, noi non cerchiamo di fare propaganda e quindi non è un annuncio “commerciale” del Signore Gesù. Si tratta solamente di condividere con altri un cammino di vita, criteri di vita che sono sostanzialmente una sintesi esistenziale del rapporto tra la mia vita ed il messaggio di Gesù. E' molto importante: la nostra presenza non è un annuncio “formale” del Vangelo – cioè io non faccio citazioni del Vangelo – non è questo! Credo che , proprio nella rete sociale, io sono chiamato ad esprimere come la mia vita incontra Gesù e il Vangelo, e quindi come la mia vita ne viene trasformata. I messaggi che manda a tutto il mondo Papa Francesco sono messaggi di questo genere; come l’altro giorno quando diceva che non c’è tristezza, non c’è malinconia per il cristiano perché la sua vita è legata a Gesù Cristo, e quando pochi giorni fa Papa Francesco diceva che le lacrime della sofferenza sono quelle lenti che mi aiutano a riscoprire la presenza di Gesù. La rete sociale diventa dunque un momento di condivisione, un momento in cui io nella mia autenticità, nella mia immediatezza comunicativa faccio presente la sostanza del mio vivere.
D. – Ha citato Papa Francesco, i tweet sono un po’ segni di quanto lo stesso Vaticano si sia voluto anche mettere in gioco nelle reti. Che prospettive ci sono, lei cosa pensa?
R. – Penso che la nostra esperienza sia quella di continuare su questa linea, i tweet sono addirittura aumentati di numero e direi che Papa Francesco sembra sia desideroso di proseguire. Lo stesso tweet usa un linguaggio nuovo, è un linguaggio diffuso specialmente nei settori giovanili ed è molto importante ad esempio pensare che questi messaggi del Papa poi vengano re-tweettati dai suoi followers. Milioni di persone possono ricevere sul proprio cellulare questo messaggio, che pur nella sua brevità è ricco di contenuto, stimolante ed ispiratore nel cammino della vita.
D. – Quindi, il futuro della Chiesa, del messaggio di Cristo è anche questo: viaggiare in rete…
R. – Esattamente. È innegabile che per quanto riguarda l’evangelizzazione il cammino principale è quello della comunità, ma la rete sociale può essere un luogo privilegiato dove anche io posso ritrovare ciò che magari ho perduto di vista, o che sia leggermente sfocato nel cammino. Ritengo che la nostra responsabilità sia quella di far sì che questo messaggio risplenda il più luminosamente possibile e possa essere di riferimento per tante persone che cercano qualche cosa che dia significato al nostro vivere.

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:42 I Tweet di Papa Francesco - Santo Padre Francesco - Jorge Mario Bergoglio

Tweet di Papa Francesco del 10 Maggio 2013

Lo Spirito Santo ci dà uno sguardo nuovo verso gli altri, visti sempre come fratelli e sorelle in Gesù, da rispettare e amare.

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Tweet di Papa Francesco del 12 maggio 2013

Preghiamo per tanti cristiani nel mondo che ancora soffrono persecuzione e violenza. Che Dio dia loro il coraggio della fedeltà.

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Tweet di Papa Francesco del 13 Maggio 2013

Sono fedele a Cristo nella vita quotidiana?
Sono capace di “fare vedere” la mia fede, con rispetto ma anche con coraggio?

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Tweet di Papa Francesco del 15 Maggio 2013

È Dio che dona la vita.
Rispettiamo e amiamo la vita umana, specialmente quella indifesa nel grembo della madre.

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Tweet di Papa Francesco del 16 Maggio 2013

Non possiamo essere christiani “part time”! Cerchiamo di vivere la nostra fede in ogni momento, ogni giorno.

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Tweet di Papa Francesco del 17 Maggio 2013

La nostra vita è veramente animata da Dio? Quante cose metto prima di Dio ogni giorno?

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Tweet di Papa Francesco del 18 Maggio 2013

Occorre imparare da Maria; rivivere la sua disponibilità totale a ricevere Cristo nella sua vita.

view post Posted: 19/5/2013, 08:34 Il Patriarca Tawadros: molto bello l'incontro col Papa, fa bene alle nostre Chiese‏ - La Santa Sede, Il Mondo Cattolico

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10 Maggio 2013

Al termine dell’udienza con Papa Francesco, il Patriarca Tawadros II ha parlato dell'incontro col Pontefice con la giornalista Philippa Hitchen:

R. – It has been a fantastic meeting, and I feel that I have taken a special…
E’ stato un incontro fantastico. Ho avuto la sensazione di un incontro particolarmente gradevole con Papa Francesco e questo è bene per i rapporti tra le due Chiese.

D. – L’ha invitato in Egitto?

R. – Yes, yes…Sì, certo …

D. – E qual è stata la sua risposta?

R. – He accepted this invitation to visit Egypt…
Ha accettato l’invito a visitare l’Egitto e stabilirà il momento opportuno.

D. – Come descriverebbe le relazioni tra le diverse Chiese cristiane in Egitto? E’ recente l’istituzione, da parte sua, di un Consiglio: è un’evoluzione molto importante, no?

R. – The Coptic Church is member in the Middle East Council of Churches…La Chiesa copta è membro del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, nel Consiglio delle Chiese di tutta l’Africa, ma non c’è un Consiglio delle Chiese in Egitto. Per questo, dopo lunga discussione tra le diverse Chiese, abbiamo istituito questo Consiglio nello scorso febbraio. Di questo Consiglio fanno parte cinque membri. Fra noi ci sono buoni rapporti, ci sono tante visite reciproche, incontri, lezioni e saranno realizzate anche tante attività nel prossimo futuro.

D. – Quanto è importante questa collaborazione più stretta tra le Chiese cristiane, alla luce delle grandi difficoltà affrontate da voi e da altre Chiese oggi in Egitto?

R. – This Council makes one voice for all Christians…
Questo Consiglio dà vita a un’unica voce per tutti i cristiani e questa voce si sentirà non soltanto in Egitto, ma in tutto il Medio Oriente. Questo per noi è molto importante: lavorare insieme in campi d’azione diversi. Questo è importante per i nostri popoli, ovunque essi siano.

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:33 Il Papa: aprite le porte delle comunità perché siano segno di amore per i più poveri‏ - Santo Padre Francesco - Jorge Mario Bergoglio

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10 Maggio 2013

Aprite le porte delle vostre comunità perché, “animati dal sacramento dell’amore, queste diventino luoghi di incontro e di carità per tutti quelli che cercano una mano fraterna”: è quanto afferma il Papa in un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, inviato ai partecipanti all’Incontro nazionale “Diaconia 2013” in corso a Lourdes in Francia. All’iniziativa, che si svolge sul tema “Serviamo la fraternità. Vivere una Chiesa con i poveri”, aderiscono un centinaio di movimenti assistenziali cattolici coordinati dal Consiglio per la solidarietà della Conferenza episcopale francese. “Confortati dalla forza delle prime parole e dai primi gesti di Papa Francesco - spiegano i promotori dell’evento - questo incontro permetterà di testimoniare come la Chiesa in Francia si fa vicina ai poveri”. Nel messaggio si sottolinea che l’attuale “grave crisi finanziaria, economica ed ecologica” sta colpendo in modo particolare i più vulnerabili. In questo contesto, “la Chiesa, seguendo Cristo, si unisce e accompagna tutti coloro che sono schiacciati dalle prove della vita”. Il suo contributo “in questo mondo in crisi, è di apportare un amore creativo”, guidato dalle fede, lontano da quelle ideologie individualiste che aggravano ulteriormente la povertà. “D’altra parte – conclude il messaggio – un’identità cattolica non è mai stata un ostacolo al collaborare con gli altri o per servire alle frontiere del nostro mondo” perché “Cristo ha voluto che i cristiani siano luce del mondo” e “segno della bontà, della compassione e della paterna tenerezza di Dio per ogni persona”.

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:31 Papa Francesco: La gioia del cristiano non è l'allegria di un momento, ma un dono di Gesù‏ - Santo Padre Francesco - Jorge Mario Bergoglio

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Omelia di Papa Francesco del 10 Maggio 2013

“Il cristiano è un uomo e una donna di gioia”: è quanto sottolineato da Papa Francesco stamani nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha affermato che la gioia del cristiano non è l’allegria che viene da motivi congiunturali, ma è un dono del Signore che riempie dentro. Alla Messa, concelebrata dall’arcivescovo di Mérida, Baltazar Enrique Porras Cardozo, e dall'abate primate dei benedettini Notker Wolf, ha preso parte un gruppo di dipendenti della Radio Vaticana accompagnati dal direttore generale, padre Federico Lombardi.
Il cristiano sia un testimone della vera gioia, quella che dà Gesù. E’ quanto affermato da Papa Francesco che, nella sua omelia, ha messo l’accento sull’atteggiamento gioioso dei discepoli, tra l’Ascensione e la Pentecoste:
“Il cristiano è un uomo e una donna di gioia. Questo ci insegna Gesù, ci insegna la Chiesa, in questo tempo in maniera speciale. Che cosa è, questa gioia? E’ l’allegria? No: non è lo stesso. L’allegria è buona, eh?, rallegrarsi è buono. Ma la gioia è di più, è un’altra cosa. E’ una cosa che non viene dai motivi congiunturali, dai motivi del momento: è una cosa più profonda. E’ un dono. L’allegria, se noi vogliamo viverla tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità, e anche ci porta a quello stato di mancanza di saggezza cristiana, ci fa un po’ scemi, ingenui, no?, tutto è allegria … no. La gioia è un’altra cosa. La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro. E’ come una unzione dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre”.

L’uomo gioioso, ha proseguito, è un uomo sicuro. Sicuro che “Gesù è con noi, che Gesù è con il Padre”. Ma questa gioia, si chiede il Papa, possiamo “imbottigliarla un po’, per averla sempre con noi?”:
“No, perché se noi vogliamo avere questa gioia soltanto per noi alla fine si ammala e il nostro cuore diviene un po’ stropicciato, e la nostra faccia non trasmette quella gioia grande ma quella nostalgia, quella malinconia che non è sana. Alcune volte questi cristiani malinconici hanno più faccia da peperoncini all’aceto che proprio di gioiosi che hanno una vita bella. La gioia non può diventare ferma: deve andare. La gioia è una virtù pellegrina. E’ un dono che cammina, che cammina sulla strada della vita, cammina con Gesù: predicare, annunziare Gesù, la gioia, allunga la strada e allarga la strada. E’ proprio una virtù dei grandi, di quei grandi che sono al di sopra delle pochezze, che sono al di sopra di queste piccolezze umane, che non si lasciano coinvolgere in quelle piccole cose interne della comunità, della Chiesa: guardano sempre all’orizzonte”.
La gioia è “pellegrina”, ha ribadito. “Il cristiano canta con la gioia, e cammina, e porta questa gioia”. E’ una virtù del cammino, anzi più che una virtù è un dono:
“E’ il dono che ci porta alla virtù della magnanimità. Il cristiano è magnanimo, non può essere pusillanime: è magnanimo. E proprio la magnanimità è la virtù del respiro, è la virtù di andare sempre avanti, ma con quello spirito pieno dello Spirito Santo. E’ una grazia che dobbiamo chiedere al Signore, la gioia. In questi giorni in modo speciale, perché la Chiesa si invita, la Chiesa ci invita a chiedere la gioia e anche il desiderio: quello che porta avanti la vita del cristiano è il desiderio. Quanto più grande è il tuo desiderio, tanto più grande verrà la gioia. Il cristiano è un uomo, è una donna di desiderio: sempre desiderare di più nella strada della vita. Chiediamo al Signore questa grazia, questo dono dello Spirito: la gioia cristiana. Lontana dalla tristezza, lontana dall’allegria semplice … è un’altra cosa. E’ una grazia da chiedere”.

Oggi, ha poi concluso Papa Francesco, c’è un motivo bello di gioia per la presenza a Roma di Tawadros II, Patriarca di Alessandria. E’ un motivo di gioia, ha sottolineato, “perché è un fratello che viene a trovare la Chiesa di Roma per parlare”, per fare assieme “un pezzo di strada”.

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:30 Discorso di Papa Francesco a sua santità Tawadros II, Papa D'Alessandria - Santo Padre Francesco - Jorge Mario Bergoglio

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A SUA SANTITÀ TAWADROS II,
PAPA D' ALESSANDRIA E PATRIARCA DELLA SEDE DI SAN MARCO

Venerdì, 10 maggio 2013


Χριστός ανέστη

Santità,
cari fratelli in Cristo,
è per me una grande gioia e un vero momento di grazia potervi accogliere qui, presso la tomba dell’Apostolo Pietro, nel ricordo dello storico incontro che quarant’anni fa unì i nostri Predecessori, Papa Paolo VI e Papa Shenouda III, recentemente scomparso, in un abbraccio di pace e di fraternità, dopo secoli di reciproca lontananza. È dunque con profondo affetto che do il benvenuto a Lei, Santità, e ai distinti Membri della Sua Delegazione, e La ringrazio per le Sue parole. Attraverso di voi estendo il mio cordiale saluto nel Signore ai Vescovi, al clero, ai monaci e all’intera Chiesa Copta Ortodossa.

L’odierna visita rafforza i legami di amicizia e di fratellanza che già uniscono la Sede di Pietro e la Sede di Marco, erede di un inestimabile lascito di martiri, teologi, santi monaci e fedeli discepoli di Cristo, che per generazioni e generazioni hanno reso testimonianza al Vangelo, spesso in situazioni di grande difficoltà.

Quarant’anni fa, la Dichiarazione comune dei nostri Predecessori rappresentò una pietra miliare nel cammino ecumenico, e da essa si sviluppò una Commissione di dialogo teologico tra le nostre Chiese, che ha portato buoni risultati ed ha preparato il terreno per il più ampio dialogo tra la Chiesa cattolica e l’intera famiglia delle Chiese Ortodosse Orientali, che continua con frutto sino ad oggi. In quella solenne Dichiarazione, le nostre Chiese riconoscevano di confessare, in linea con le tradizioni apostoliche, «un’unica fede in un solo Dio Uno e Trino» e la «divinità dell’Unico Figlio Incarnato di Dio […] Dio perfetto riguardo alla Sua Divinità e perfetto uomo riguardo alla Sua umanità». Riconoscevano che la vita divina ci viene data e alimentata attraverso i sette sacramenti, e si sentivano associate nella comune venerazione della Madre di Dio.

Siamo lieti di poter oggi confermare quanto i nostri illustri Predecessori solennemente dichiararono, siamo lieti di riconoscerci uniti dall’unico Battesimo, di cui è espressione speciale la nostra comune preghiera, la quale anela al giorno in cui, compiendosi il desiderio del Signore, potremo comunicare all’unico calice.

Certo, siamo anche consapevoli che il cammino che ci attende è forse ancora lungo, ma non vogliamo dimenticare la molta strada già percorsa, che si è concretizzata in luminosi momenti di comunione, tra i quali mi piace ricordare l’incontro nel Febbraio del 2000 al Cairo tra Papa Shenouda III e il Beato Giovanni Paolo II, pellegrino, nel corso del Grande Giubileo, sui luoghi di origine della nostra fede. Sono convinto che, con la guida dello Spirito Santo, la nostra perseverante preghiera, il nostro dialogo e la volontà di costruire giorno per giorno la comunione nell’amore vicendevole ci consentiranno di porre nuovi e importanti passi verso la piena unità.

Santità, sono a conoscenza dei molteplici gesti di attenzione e di fraterna carità che Ella ha riservato, sin dai primi giorni del Suo ministero, alla Chiesa Copta Cattolica, al suo Pastore, il PatriarcaIbrahim Isaac Sidrak e al suo Predecessore, il Cardinale Antonios Naguib. L’istituzione di un “Consiglio nazionale delle Chiese cristiane”, da Lei fortemente voluto, rappresenta un segno importante della volontà di tutti i credenti in Cristo di sviluppare nella vita quotidiana relazioni sempre più fraterne e di porsi a servizio dell’intera società egiziana, di cui sono parte integrante. Sappia, Santità, che il Suo sforzo a favore della comunione tra i credenti in Cristo, così come il Suo vigile interesse per le sorti del Suo Paese e per il ruolo delle comunità cristiane all’interno della società egiziana, trovano una profonda eco nel cuore del Successore di Pietro e dell’intera comunità cattolica.

«Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1Cor 12,26). Questa è una legge della vita cristiana, e in questo senso possiamo dire che esiste anche un ecumenismo della sofferenza: come il sangue dei martiri è stato seme di forza e di fertilità per la Chiesa, così la condivisione delle sofferenze quotidiane può divenire strumento efficace di unità. E ciò è vero, in certo modo, anche nel quadro più ampio della società e dei rapporti tra cristiani e non cristiani: dalla comune sofferenza, possono infatti germogliare, con l’aiuto di Dio, perdono, riconciliazione e pace.

Santità, nell’assicurarLe di cuore la mia preghiera affinché l’intero gregge affidato alle Sue cure pastorali possa essere sempre fedele alla chiamata del Signore, invoco la comune protezione dei Santi Pietro Apostolo e Marco Evangelista: essi che efficacemente collaborarono in vita alla diffusione del Vangelo, intercedano per noi e accompagnino il cammino delle nostre Chiese.

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view post Posted: 19/5/2013, 08:27 Profondo dolore del Papa per l'incidente di Genova‏ - Santo Padre Francesco - Jorge Mario Bergoglio

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9 Maggio 2013

Il Papa esprime il suo "dolore" per l'incidente della Jolly Nero al molo Giano, nel porto di Genova, con un telegramma inviato dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato Vaticano. "Appresa la notizia del grave incidente avvenuto presso il porto di Genova - si legge nel testo - il Sommo Pontefice esprime la sua profonda partecipazione al dolore che colpisce l'intera città e, mentre assicura fervide preghiere di suffragio per quanti sono tragicamente morti, invoca dal Signore una pronta guarigione per tutti i feriti e affidando alla materna protezione della Vergine della Guardia quanti sono colpiti dal drammatico evento, invia la sua confortatrice benedizione apostolica. Mi unisco nella vicinanza e nel ricordo".

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:25 Proprio come un papà.... - Santo Padre Francesco - Jorge Mario Bergoglio

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9 Maggio 2013

Pace e misericordia per la Chiesa e per il mondo. È l’intenzione che Papa Francesco ha affidato alla Madonna nella mattina di mercoledì 8 maggio, festa di Nostra Signora di Luján. Proprio davanti alla piccola statua della patrona dell’Argentina, eccezionalmente collocata accanto alla cattedra in piazza San Pietro, il Pontefice ha sostato in preghiera, deponendo ai piedi della Vergine un omaggio floreale. Poi non ha mancato di ricordare anche la ricorrenza della tradizionale supplica alla Madonna del Rosario che si recita nella basilica di Pompei.
Di fronte alla grande folla di fedeli provenienti da diversi Paesi del mondo, il Santo Padre ha dedicato la sua catechesi allo Spirito Santo, mostrandolo come «un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare» il desiderio profondo di luce, di bellezza, di amore e di pace che scuote l’uomo. Anzi lo Spirito Santo è colui che «ci dice che Dio è amore, che ci aspetta, che ci ama come un vero papà». Non solo: egli «ci insegna a guardare con gli occhi di Cristo, a vivere la vita come l’ha vissuta Cristo, a comprendere la vita come l’ha compresa Cristo».

Anche al momento di concludere l’udienza Papa Francesco ha voluto ribadire il suo messaggio: «ricordatevi — ha detto dopo aver salutato i diversi gruppi presenti — dobbiamo ascoltare lo Spirito Santo che è dentro di noi, sentirlo. Cosa ci dice? Che Dio è buono, che Dio è padre, che Dio ci ama, che Dio ci perdona sempre. Ascoltiamo lo Spirito Santo».

In precedenza il Pontefice aveva incontrato, nell’Aula Paolo vi, le religiose partecipanti all’assemblea plenaria dell’Unione internazionale superiore generali, alle quali aveva raccomandato di basare la loro missione su tre direttrici precise: «centralità di Cristo e del suo vangelo; autorità come servizio d’amore; “sentire” in e con la Madre Chiesa». E a proposito di “maternità“ della Chiesa ”, Papa Francesco ha voluto anche ricordare che «la consacrata è madre, deve essere madre e non “zitella”». E parlando di quegli uomini e donne di Chiesa «che sono carrieristi, arrampicatori», li ha definiti persone «che fanno un danno grande alla Chiesa».

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:23 Oggi colmi di gioia colei che ti ha partorito - La Santa Sede, Il Mondo Cattolico

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9 Maggio 2013

I tropari bizantini chiamati theotòkia sono testi che rendono presente la figura della Madre di Dio (theotòkos) nella liturgia del giorno o della festa che si celebra. Sono tropari in cui la figura di Cristo viene messa in luce dalla figura di sua madre. Nella festa dell’Ascensione del Signore il quarantesimo giorno dopo Pasqua, cioè il giovedì della sesta settimana del periodo pasquale, i theotòkia sono soprattutto nell’ufficiatura del mattutino, benché anche nel vespro troviamo la figura della Madre di Dio. In lei il mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, il suo abbassarsi e il suo discendere, si unisce al mistero della sua Ascensione, il suo salire al Padre con la glorificazione della natura umana assunta appunto da Maria.
La liturgia bizantina nella festa dell’Ascensione mette in rilievo il collegamento tra l’Incarnazione del Signore e la sua Ascensione celebrate come ricreazione della natura umana — la liturgia bizantina privilegia l’espressione “carne” — assunta da lui stesso: «Tu che, senza separarti dal seno paterno, o dolcissimo Gesù, hai vissuto sulla terra come uomo, oggi dal Monte degli Ulivi sei asceso nella gloria: e risollevando, compassionevole, la nostra natura caduta, l’hai fatta sedere con te accanto al Padre. Per questo con le celesti schiere degli incorporei, anche noi quaggiù sulla terra, glorificando la tua discesa fra noi e la tua dipartita da noi con l’ascensione, supplici diciamo: O tu che con la tua ascensione hai colmato di gioia infinita i discepoli e la Madre di Dio che ti ha partorito, per le loro preghiere concedi anche a noi la gioia dei tuoi eletti, nella tua grande misericordia». Come se la liturgia di questa festa volesse essere un contrappunto alla liturgia dell’Annunciazione celebrata il 25 marzo.

Molti testi sottolineano la gioia di Maria e degli apostoli, cioè di tutta la Chiesa, per l’Ascensione del Signore. In diversi tropari del mattutino si riprende questo rapporto inscindibile tra Incarnazione e Ascensione: «Il Dio che è prima dei secoli e senza principio, dopo aver misticamente divinizzata la natura umana da lui assunta, è oggi asceso al cielo. Disceso dal cielo alle regioni terrestri, hai risuscitato con te, poiché sei Dio, la natura umana che giaceva in basso, nel carcere dell’Ade, e con la tua ascensione, o Cristo, l’hai fatta salire ai cieli, rendendola con te partecipe del trono del Padre tuo».

L’Incarnazione è anche contemplata come un rivestirsi da parte del Verbo di Dio della natura umana — la liturgia adopera la formula «rivestirsi di Adamo» — per portarla nell’Ascensione alla sua piena glorificazione presso il Padre: «Dopo aver cercato Adamo che si era smarrito per l’inganno del serpente, o Cristo, di lui rivestito sei asceso al cielo e ti sei assiso alla destra del Padre, partecipe del suo trono. O Cristo, quale propiziazione e salvezza, dalla Vergine, o sovrano, su noi sei rifulso, per liberare dalla corruzione l’intera persona di Adamo, caduto con tutta la sua stirpe, così come liberasti il profeta Giona dal ventre del mostro marino». A rappresentare tutta la stirpe umana è Adamo presentato come pecora smarrita, Adamo ricercato, trovato e riportato nel paradiso.

La figura della Madre di Dio nella festa dell’Ascensione, come nei giorni della Settimana santa, viene presentata sempre con espressioni sia di sofferenza sia di gioia: «Signore, compiuto nella tua bontà il mistero nascosto da secoli e da generazioni, sei andato con i tuoi discepoli al Monte degli Ulivi, insieme a colei che ha partorito te, creatore e artefice dell’universo: bisognava infatti che godesse di immensa gioia per la glorificazione della tua carne, colei che come madre più di tutti aveva sofferto nella tua passione».

Maria quindi è presente nel mistero dell’Incarnazione e in quello dell’Ascensione del Signore: «Immacolata Madre di Dio, incessantemente intercedi presso il Dio che, senza lasciare il seno del Padre, da te si è incarnato, affinché voglia liberare da ogni sventura coloro che ha plasmato. Hai generato il sovrano di tutti, o sovrana tutta immacolata, colui che ha accettato la volontaria passione ed è quindi salito al Padre suo, che mai aveva abbandonato, pur avendo assunto la carne».

E uno dei tropari fa un bel paragone tra il grembo di Maria, riempito nell’Incarnazione dal Signore stesso, e il grembo dell’Ade svuotato dallo stesso Signore nella sua risurrezione: «Beato il tuo ventre, o tutta immacolata, perché inesplicabilmente è stato degno di contenere colui che prodigiosamente ha svuotato il ventre dell’Ade: supplicalo di salvare noi che a te inneggiamo». La presenza di Maria sia nell’icona sia nei testi dell’Ascensione del Signore conferma la professione di fede nel Verbo di Dio incarnato, vero Dio e vero uomo: «Cristo, che ti ha custodita vergine dopo il parto, ascende, o Madre di Dio, al Padre che mai ha lasciato, anche se ha da te assunto una carne dotata di anima e intelletto, per ineffabile misericordia».

Fonte: News.va

view post Posted: 19/5/2013, 08:22 Brasile: 3.a riunione della Commissione internazionale cattolico-anglicana‏ - La Santa Sede, Il Mondo Cattolico

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9 Maggio 2013

Si è concluso martedì, presso il Monastero di San Benedetto a Rio de Janeiro, il terzo incontro dei membri della Commissione internazionale anglicana-cattolica della terza fase di dialogo tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana (Arcic III). La sessione, iniziata il 29 aprile, è stata la prima ad essere ospitata in Brasile e in un Paese dell’emisfero sud del mondo. Presieduta dall’arcivescovo cattolico di Birmingham Bernard Longley e dal vescovo anglicano di Guilford Christopher Hill, la Commissione ha proseguito la discussione avviata nel maggio di due anni fa su “La Chiesa come comunione, locale e universale”, e su “Come, nella comunione, la Chiesa locale e universale giunge a discernere il giusto insegnamento etico” in vista della pubblicazione di una nuova dichiarazione comune. In particolare – riporta il comunicato conclusivo - i partecipanti hanno analizzato le implicazioni teologiche e condiviso riflessioni sulla natura della Chiesa e sulle strutture che contribuiscono al discernimento e determinano i processi decisionali al suo interno. Una giornata è stata dedicata poi all’esame di studi preparati dai membri su alcune questioni etiche e alla riflessione sul modo in cui le due Chiese hanno presentato il loro magistero su queste materie. Inoltre, si è portata avanti la preparazione dei documenti della precedente fase di dialogo, l’Arcic II, da presentare alle rispettive Chiese. I membri della Commissione hanno esaminato le risposte ricevute a ciascuna delle cinque dichiarazioni concordate e prepareranno le introduzioni a ciascuna di esse per contestualizzarle nella situazione del cammino ecumenico sinora percorso. L'Arcic III – lo ricordiamo - nasce dall'incontro a Roma tra Benedetto XVI e l’allora Primate anglicano Rowan Williams nel 2006 quando, in una Dichiarazione Comune, entrambi avevano espresso il desiderio di continuare il dialogo ecumenico avviato nel 1970 con l’istituzione dell’Arcic I e proseguito, dal 1983, con l’Arcic II, per superare le divisioni tra le due Chiese lasciate dallo scisma del XVI secolo. Un processo che ha conosciuto alti e bassi: rispetto ai promettenti progressi compiuti dopo il Concilio, con la pubblicazione dei tre documenti sull’Eucaristia (1971), sull’Ufficio e l’Ordinazione (1973), sull’autorità della Chiesa (1976-1981), in questi ultimi anni il dialogo cattolico-anglicano ha segnato il passo. Dal punto di vista teologico le due Chiese si sono allontanate molto da quando, nel 1994, la Chiesa d’Inghilterra ha dato il via all’ordinazione sacerdotale delle donne. Una distanza che si è ulteriormente allargata con l’apertura da parte della Chiesa d’Inghilterra all’ordinazione episcopale femminile nel 2008. Questo non ha impedito, peraltro, la pubblicazione nel 2005 di un altro importante documento comune su “Maria: Grazia e Speranza in Cristo”. Un’altra questione che ha lasciato un segno profondo nei rapporti tra le due comunità è la complessa crisi all’interno della stessa Comunione anglicana aperta dall’ordinazione, nel 2003, di un pastore dichiaratamente omosessuale a vescovo negli Stati Uniti e dal riconoscimento delle unioni omosessuali. Decisioni che, come è noto, hanno creato forti dissensi nel mondo anglicano sottolineando ulteriormente la profonda distanza in materia di teologia morale tra Canterbury e Roma. La pubblicazione nel 2009 della Costituzione apostolica di Benedetto XVI “Anglicanorum Coetibus” che predispone l'accoglienza degli anglicani che hanno deciso di abbandonare la Comunione anglicana per convertirsi al cattolicesimo e la conseguente erezione di tre Ordinariati personali in Inghilterra, Stati Uniti e Australia, ha aperto un nuovo capitolo nei rapporti tra le due Chiese.

Fonte: News.va

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